
Mario Cesàri è un artista anche se lui non apprezza questa definizione preferendo considerarsi un artigiano. Non che artigiano sia una connotazione inferiore ma per me Mario è un artista con tutte le caratteristiche che questa condizione implica. E’ eclettico, talentuoso, creativo, estremamente sensibile, lievemente ombroso, poco incline alle regole, poco loquace ma attento ascoltatore e disponibile alla relazione, soavemente ingenuo ma non dabbene, acuto osservatore, di vasta cultura, dai molteplici interessi.

Ha scritto articoli e tradotto dall’inglese “Metalwork and enamelling” di Herbert Maryon per la Hoepli, col titolo “La lavorazione dei metalli”.
Mario crea dei capolavori con oggetti umili o che tutti butterebbero via. Un chiodo, un cucchiaio, un’antenna.
Ho conosciuto Mario a Pennabilli, nella sua casa che è anche il suo studio dove vive con Bigolo, il suo delizioso cagnolino con cui ha un rapporto quasi umano.
Sono stata da lui due volte, per giornate intere a imparare qualche trucco del mio hobby, l’arte orafa, che elargisce e trasmette con generosa disponibilità, senza nascondere segreti come fa chi non è capace di condividere la propria arte temendo di esserne depredato.
Il talento, infatti, non si può nè rubare nè copiare.

Mario ed io nella sua casa (il collier che indosso è “la calla” in ottone, opera di Mario)

Faccio la modella con una collana in ottone, opera di Mario

Insieme di gioielli
Ho chiesto a Mario quest’intervista e lui, disponibile come sempre, me l’ha concessa.
Mario, da Venezia, cosa o chi ti ha spinto a Pennabilli?
Il caso, naturalmente. All’inizio degli anni ’80 un venditore di auto usate, a Bellaria dove viveva mia madre, le ha proposto di comperare una casa da restaurare. Mia madre ha chiesto a me e mio fratello di imbarcarci per guadagnare i soldi del restauro. Così ho lasciato la casa di Venezia dove ero in arretrato con l’affitto, ho fatto un imbarco di 5/6 mesi e abbiamo restaurato la casa, da allora sono un pennese.
Che cosa ti ha spinto alla lavorazione del metallo?
Il fatto che sia io che mio fratello siamo radiotelegrafisti di bordo. Beh, una volta mio fratello sbarcando da una nave che andava al disarmo, ha portato a casa l’antenna radio che è fatta di fili di rame da 1mm circa torti assieme, lunga una decina di metri e pesante. Poi, dopo una raccolta di pigne da pinoli per fare un dolce, gli è venuta l’idea di usare il filo di rame per fare un girocollo cui appendere una squama di pigna. Si è messo in produzione, ha teso fili su cui appendere le collane, a decine, per asciugarle dalla vernice protettiva. La sera adava in Piazza San Marco e le vendeva ai turisti. Bei tempi, eravamo una novità, giovani che si davano da fare, e si guadagnava bene.
Da quando?
Ormai da quasi quarant’anni, quando abbiamo cominciato col metallo avevo già fatto quattro imbarchi, anche dopo ho navigato per anni, alternavo periodi di artigianato a terra con periodi di imbarco. Il fatto è che da telegrafista si guadagnava molto ma molto di più che con l’artigianato. Ma da quando esistono le comunicazioni satellitari, il GPS ecc. le navi non hanno più l’obbligo di imbarcare un radiotelegrafista per eventuali SOS. Così ho fatto l’ultimo imbarco una ventina d’anni fa.
Hai avuto un maestro, hai frequentato una scuola?
Ho seguito un corso di incisione e calcografia, ho imparato a forgiare e cesellare da un argentiere a Londra, a fondere in osso di seppia e a usare le pietre da un orafo tradizionale veneziano, a fondere in cera negli USA e in sabbia in Nepal. Ma sono in gran parte autodidatta e devo molto ad alcuni libri, il più utile è stato il libro di Herbert Maryon
Che rapporto hai con le tue creazioni?
I primi tempi ero molto contento di vendere i miei pezzi anche quelli belli, da un po’ tendo a volerli tenere. A volte tengo per giorni un pezzo ben fatto sul tavolo per guardarmelo.
Lo consideri un lavoro?
Certo che è un lavoro, vivo del mio mestiere.
Certo che non è un lavoro: nessuno mi dà uno stipendio, non sono impiegato o dipendente.
C’è qualcosa che ti ispira nel creare un gioiello, un oggetto?
A volte una tecnica, a volte un oggetto, un insetto ecc. Più che l’ispirazione, io pratico il riconoscimento. Faccio qualcosa e poi vedo se mi piace o no.
In quale tecnica orafa ti riconosci?
Ci sono delle tecniche che mi piacciono: fusione in osso di seppia, cesello e negli ultimi anni forgiatura. Mi piace limare e odio lucidare.
Come organizzi la tua giornata di lavoro?
Va molto a periodi, in questi mesi lavoro un po’ al banco e molto al computer, tengo corsi, vado a mercati. Quando lavoro al banco mi riempio in poco tempo di pinze, lime, bulini, compasso, punte, fresette ecc. e sembrerebbe una gran confusione. In effetti lo é.
Che tipo di musica ascolti?
Brassens, fado, vecchi blues e tango, standards dai ’30 ai ’60, classica; ascolto (solo) radio3
Hai degli hobby?
Alcuni si integrano col lavoro, come la macrofotografia o spataccare al computer, poi ho un po’ di interessi: cinema, libri, economia, ecologia ecc.
Mario, come dicevo, è di poche parole ma, non è una contraddizione, starei ad ascoltarlo per ore mentre racconta la sua vita, quello che fa e come lo fa.
Altri gioielli di Mario:

fibbia

orecchini

pendente

orecchini

gemelli

fibbia
Ascoltando un pezzo di Bob Dylan, suggeritomi da Mario: Joan Baez in Love is just a four-letter word. Gliela dedico.