L’amicizia (ultima parte)

Le esperienze che ho raccontato nei due articoli precedenti mi hanno lasciato una profonda cicatrice. La ferita si è rimarginata – si dice che il tempo è gran dottore – ma, a volte, torna a farmi male. Come i dolori reumatici che si fanno sentire quando le condizioni meteorologiche sono avverse. E’ una nostalgia, più che un dolore.

Ho raccontato molte volte, nel corso degli anni, quelle due esperienze e ho raccolto pareri contrastanti. Mentre la persona che si stanca delle amicizie (vedi L’amicizia – prima parte) non ha avuto nessuna giustificazione, l’altra, disponibilissima a dimenticare il freddo, la stanchezza e l’essere in pigiama per tuffarsi tra le braccia del suo cicisbeo anziché sostenere una vera amica quale ero io, ha ottenuto molta comprensione. La motivazione è unanime: un’amica vera c’è sempre (lei pensava, con spavalda presunzione…), come un familiare stretto mentre il bellimbusto, periodicamente transfuga e dal comportamento scostante, andava assecondato per timore di perderlo definitivamente. Può essere. Ma non sempre trasformarsi in zerbino può dare i risultati sperati….

Ma io non ci sto, anzi, non ci sono stata e ho interrotto la relazione. Stavo molto male e non mi è stata tesa la mano. Probabilmente, se si fosse limitata a manifestare stanchezza, freddo e nessuna voglia di uscire dal caldo pigiama, avrei compreso. Stavo male, è vero, ero afflitta e sfiduciata ma non ero moribonda e potevo superare, da sola, il disagio esistenziale momentaneo, come altre volte era accaduto. Inconsciamente – ma nemmeno troppo – ho voluto metterla alla prova.

Dopo anni ci siamo, casualmente, riviste per strada. L’ho riconosciuta e fermata. Per indole, non sono incline né al rancore né alla vendetta. E non sono permalosa. Non lo sono mai stata. Mi ha fatto piacere rivederla. Ci siamo scambiate i numeri dei cellulari che, nel frattempo, erano comparsi nella vita di tutti. Ci siamo raccontate spezzoni di vita, quelli più significativi, in piedi, sul marciapiede. Il cicisbeo di cui attendeva la telefonata non si è più fatto vivo…

Ho percepito il comune sentire di un tempo ma ero cambiata e non volevo farmi ancora del male. L’amicizia totalizzante era un ricordo del passato. Ci siamo salutate e abbracciate con affetto. Ancora oggi, di tanto in tanto, ci scriviamo qualche messaggio ma non possiamo più vederci perché lei è è tornata al suo paesello di origine, nel Sud Italia, e io sono sempre rimasta nella mia città, Milano, dove ci eravamo incontrate e dove lei era rimasta molti anni, per lavoro.

Le delusioni sull’amicizia – e, vissute all’età in cui le vissi lasciano un segno profondo – mi hanno insegnato molto.

Ho vissuto altre delusioni da sedicenti amiche e amici ma di lieve entità e presto superate e dimenticate. Insieme alle persone che me le hanno inflitte.

Ma che cos’è l’amicizia? E’ difficile da spiegare…. Innanzitutto è un sentimento, di fiducia, affetto, affinità che si alimentano nel tempo. E’ complicità, coinvolgimento e impegno. E’ un punto di riferimento e stabilità. E’ un rapporto umano universale, totale e assoluto.

L’amicizia è scegliersi e rappresenta il rassicurante piacere di stare insieme, di divertirsi, di soffrire, di ridere e di piangere per le stesse cose.

E’ un sentimento forte e unico, il primo fuori dal ristretto ambito familiare. E “la famiglia – recitava uno slogan della contestazione giovanile degli anni ’70 – è ariosa e stimolante come la camera a gas”. L’amicizia è, al contrario, aria pura. Per “famiglia” non intendo quella che ho costruito e scelto ma il parentado comunemente inteso. Quello che non scegli e di cui ne faresti volentieri a meno.

Oggi, grazie alle ferite insanabili che mi sono state inflitte, sono disincantata, disillusa e un po’ smaliziata. Non voglio più farmi del male, non voglio più investire. Ma sono onesta e non voglio tradire aspettative. Posso dire di avere buone conoscenze, ottime relazioni, persone che stimo tantissimo con le quali divido parte del mio tempo e dei miei ideali. Felicemente. Persone a cui voglio bene. Ma l’amicizia è, anzi, era un’altra cosa. Posso dire di averla vissuta intensamente, in modo totale e assoluto, per due volte, ed è stata una sensazione bellissima, uno stato di grazia.

E, riflettendo, con la saggezza (?!) di oggi, posso affermare, senza téma di essere smentita, che gli errori li ho commessi io. Perché non ho considerato la caducità umana, le debolezze, le fragilità, l’umano egoismo, l’asimmetria delle relazioni affettive.

Perché sono stata intollerante, intransigente. Perché ho considerato importanti, in quel momento, solo le mie fragilità, spazzando via tutto il resto. Perché, ragionando con il mio metro, se un’amica mi avesse telefonato per chiedermi un aiuto o farle un piacere che potevo concederle, non mi sarei risparmiata. Ma non siamo tutti uguali.

Fine

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