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L’amicizia (ultima parte)

Le esperienze che ho raccontato nei due articoli precedenti mi hanno lasciato una profonda cicatrice. La ferita si è rimarginata – si dice che il tempo è gran dottore – ma, a volte, torna a farmi male. Come i dolori reumatici che si fanno sentire quando le condizioni meteorologiche sono avverse. E’ una nostalgia, più che un dolore.

Ho raccontato molte volte, nel corso degli anni, quelle due esperienze e ho raccolto pareri contrastanti. Mentre la persona che si stanca delle amicizie (vedi L’amicizia – prima parte) non ha avuto nessuna giustificazione, l’altra, disponibilissima a dimenticare il freddo, la stanchezza e l’essere in pigiama per tuffarsi tra le braccia del suo cicisbeo anziché sostenere una vera amica quale ero io, ha ottenuto molta comprensione. La motivazione è unanime: un’amica vera c’è sempre (lei pensava, con spavalda presunzione…), come un familiare stretto mentre il bellimbusto, periodicamente transfuga e dal comportamento scostante, andava assecondato per timore di perderlo definitivamente. Può essere. Ma non sempre trasformarsi in zerbino può dare i risultati sperati….

Ma io non ci sto, anzi, non ci sono stata e ho interrotto la relazione. Stavo molto male e non mi è stata tesa la mano. Probabilmente, se si fosse limitata a manifestare stanchezza, freddo e nessuna voglia di uscire dal caldo pigiama, avrei compreso. Stavo male, è vero, ero afflitta e sfiduciata ma non ero moribonda e potevo superare, da sola, il disagio esistenziale momentaneo, come altre volte era accaduto. Inconsciamente – ma nemmeno troppo – ho voluto metterla alla prova.

Dopo anni ci siamo, casualmente, riviste per strada. L’ho riconosciuta e fermata. Per indole, non sono incline né al rancore né alla vendetta. E non sono permalosa. Non lo sono mai stata. Mi ha fatto piacere rivederla. Ci siamo scambiate i numeri dei cellulari che, nel frattempo, erano comparsi nella vita di tutti. Ci siamo raccontate spezzoni di vita, quelli più significativi, in piedi, sul marciapiede. Il cicisbeo di cui attendeva la telefonata non si è più fatto vivo…

Ho percepito il comune sentire di un tempo ma ero cambiata e non volevo farmi ancora del male. L’amicizia totalizzante era un ricordo del passato. Ci siamo salutate e abbracciate con affetto. Ancora oggi, di tanto in tanto, ci scriviamo qualche messaggio ma non possiamo più vederci perché lei è è tornata al suo paesello di origine, nel Sud Italia, e io sono sempre rimasta nella mia città, Milano, dove ci eravamo incontrate e dove lei era rimasta molti anni, per lavoro.

Le delusioni sull’amicizia – e, vissute all’età in cui le vissi lasciano un segno profondo – mi hanno insegnato molto.

Ho vissuto altre delusioni da sedicenti amiche e amici ma di lieve entità e presto superate e dimenticate. Insieme alle persone che me le hanno inflitte.

Ma che cos’è l’amicizia? E’ difficile da spiegare…. Innanzitutto è un sentimento, di fiducia, affetto, affinità che si alimentano nel tempo. E’ complicità, coinvolgimento e impegno. E’ un punto di riferimento e stabilità. E’ un rapporto umano universale, totale e assoluto.

L’amicizia è scegliersi e rappresenta il rassicurante piacere di stare insieme, di divertirsi, di soffrire, di ridere e di piangere per le stesse cose.

E’ un sentimento forte e unico, il primo fuori dal ristretto ambito familiare. E “la famiglia – recitava uno slogan della contestazione giovanile degli anni ’70 – è ariosa e stimolante come la camera a gas”. L’amicizia è, al contrario, aria pura. Per “famiglia” non intendo quella che ho costruito e scelto ma il parentado comunemente inteso. Quello che non scegli e di cui ne faresti volentieri a meno.

Oggi, grazie alle ferite insanabili che mi sono state inflitte, sono disincantata, disillusa e un po’ smaliziata. Non voglio più farmi del male, non voglio più investire. Ma sono onesta e non voglio tradire aspettative. Posso dire di avere buone conoscenze, ottime relazioni, persone che stimo tantissimo con le quali divido parte del mio tempo e dei miei ideali. Felicemente. Persone a cui voglio bene. Ma l’amicizia è, anzi, era un’altra cosa. Posso dire di averla vissuta intensamente, in modo totale e assoluto, per due volte, ed è stata una sensazione bellissima, uno stato di grazia.

E, riflettendo, con la saggezza (?!) di oggi, posso affermare, senza téma di essere smentita, che gli errori li ho commessi io. Perché non ho considerato la caducità umana, le debolezze, le fragilità, l’umano egoismo, l’asimmetria delle relazioni affettive.

Perché sono stata intollerante, intransigente. Perché ho considerato importanti, in quel momento, solo le mie fragilità, spazzando via tutto il resto. Perché, ragionando con il mio metro, se un’amica mi avesse telefonato per chiedermi un aiuto o farle un piacere che potevo concederle, non mi sarei risparmiata. Ma non siamo tutti uguali.

Fine

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Colazione da Titti

Il reportage di un’ospite speciale al mio B&B

ravanellocurioso

Cari Ravanelli, come state? Oggi voglio raccontarvi di un posto magico. Conoscete Torbole sul Garda?

DSC_4489Se ancora non ci siete stati, avete un motivo in più per andarci: il B&B La Casota … 100% VEGAN! la casotaUn bed and breakfast in cui perdersi e farsi cullare dalla bravissima Titti. Mi sono davvero sentita a casa e trattata da Regina.

Niente di meglio per ricaricare la spina e pensare positivo.

Titti offre ai suoi ospiti colazioni deliziose, in un trionfo di torte, strudel, muffin, pane di pasta madre, bagel, affettati e formaggi veg, frutta fresca, spremute, bevande … davvero, avete solo l’imbarazzo della scelta.

DSC_3819Ma c’è di più:

Titti prepara anche delizie calde sul momento, tra cui vanno citati i Waffle (qui a sinistra)

ed i Pancake (qui sotto!) davvero più buoni del pianeta. DSC_4513

(PS: le colazioni di Titti sono così buone, ma così buone, che ho sentito con le mie orecchie due “onnivori” complimentarsi…

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Intervista a un’educatrice cinofila

Irene e Pinta
Ho conosciuto Irene un anno fa, leggendo un’intervista che rilasciò al Corriere Milano, nella rubrica settimanale “Cambio vita”.
La giornalista, Raffaella Oliva, raccoglieva e pubblicava esperienze di persone che, vittime di lavori insoddisfacenti, di routine alienanti e lontane dalla propria essenza, avevano deciso di dare una svolta alla loro vita cambiando lavoro, dando in tal modo nuove spinte e nuova energia alla loro esistenza.
In quel periodo leggevo e rileggevo il libro di Simone Perotti (Adesso basta!), avida di storie che riconducevano a esperienze di chi aveva cambiato vita, di chi aveva avuto quel coraggio, di chi ce l’aveva fatta.
Non poteva sfuggirmi, in particolare, la storia di Irene per varie ragioni: era della mia città, Milano, aveva lasciato un posto fisso a tempo indeterminato – come quello che avevo io – per occuparsi dell’educazione/addestramento di cani e, altro particolare significativo, proprio in quel periodo, stavo organizzandomi per adottare un cagnolino bisognoso.
A colpirmi fu anche la sua bellezza, davvero mozzafiato, i suoi modi eleganti, il suo stile e il suo sorriso disarmante.
In quel periodo visitavo canili e rifugi per trovare un peloso che si adattasse  alla mia famiglia.
Quell’intervista cadde a fagiolo e mi annotai i recapiti di Irene certa di chiamarla una volta adottato il cane.
La piccola Joy arrivò, tramite l’associazione onlus ICaniSciolti   e poco dopo chiamai Irene per stabilire un primo contatto, capire il funzionamento della “procedura educativa” e avere altre indicazioni e suggerimenti.
La fortuna sfacciata fu che Irene abitasse a 300 metri da casa mia. Quasi incredibile in una città come Milano!!
Le lezioni furono estremamente efficaci e, in poco tempo, seguendo le sue indicazioni – rivolte soprattutto a noi “genitori” – Joy migliorò moltissimo i suoi comportamenti da piccola randagia.
Irene e Joy
Irene durante una lezione con Joy
Irene, da bambina,  cosa pensavi di fare da grande?
Fin da piccola ho sempre avuto una grande passione per gli animali e ho sempre desiderato osservarli. Ero interessata a ogni forma vivente ed ero spinta da una grandissima curiosità ad avvicinarmi a ogni essere animale. Avevo già preso la decisione di lavorare a contatto con gli animali e il mio sogno mi è sempre stato chiaro: quello che volevo era “studiare il loro comportamento”.
Che percorso formativo/professionale hai intrapreso?
Alle superiori ero iscritta al liceo scientifico, con indirizzo naturalistico, e le scienze naturali sono sempre state la mia materia preferita. Poi all’università mi sono iscritta a Scienze biologiche e dopo il triennio ho seguito la specializzazione in Biodiversità ed evoluzione biologica. Materia preferita? Perdutamente innamorata dell’etologia. Studiarla era fonte di continua sorpresa e meraviglia. Mi sono laureata con tesi sperimentale sul campo, studiando le rondini nel loro ambiente naturale.Immediatamente dopo la laurea ho fatto prima uno stage e sono stata poi assunta a tempo indeterminato in una multinazionale farmaceutica.
Ma non era quella la mia strada.
Qual è stata la scintilla che ti ha portato al cambiamento?
Nonostante fosse un ottimo lavoro e anche interessante, passare le ore in ufficio non era quello che volevo. Mi mancavano soprattutto lo studio degli animali e l’aria aperta. Volevo inoltre prendere un cane, ma gli orari lavorativi non mi avrebbero permesso di prendermi cura di lui nel modo corretto.
In quanto tempo hai maturato la decisione di abbandonare il vecchio lavoro?
Ho lavorato in azienda per due anni, ma ho maturato la decisione nel corso dell’ultimo anno. Mentre lavoravo ho cominciato a seguire un corso per diventare educatrice cinofila, con Golfo e Arancio, due cani non miei, e lì è esplosa la passione per questo lavoro.
La tua famiglia come l’ha presa?
All’inizio erano spaventati, hanno cercato di farmi “ragionare”, ma non mi hanno ostacolata perchè si sono sempre fidati di me e delle mie decisioni. Ora sono più tranquilli, soprattutto perchè mi vedono serena, anche se la sicurezza economica ovviamente non è la stessa di prima.
Che tipo di formazione hai per l’attuale lavoro?
Ho ottenuto la qualifica di educatrice cinofila dopo 2 anni e mezzo di corso e un tirocinio nei canili e al fianco di istruttori professionisti. Continuo a tenermi aggiornata partecipando a stage e seminari di professionisti italiani e stranieri e ho cominciato un corso per diventare riabilitatrice comportamentale e ampliare così le mie competenze. Se mi viene gentilmente concesso non perdo occasione di seguire altri professionisti durante le loro consulenze: è utilissimo vedere come lavorano gli altri, ma devono essere altruisti e generosi per permetterlo.
Chi avesse bisogno di un’educatrice seria e professionale come te come fa a orientarsi nell’offerta così disordinata, diciamo pure selvaggia?
La figura dell’educatore cinofilo non è riconosciuta a livello nazionale, quindi chiunque può definirsi educatore, anche chi è solo un dogsitter (e sono numerosi i casi) o ha sempre avuto cani. Anch’io ho guidato la macchina per tanti anni, ma non per questo dico di essere un meccanico. Il mio consiglio è dunque di leggere attentamente il curriculum della persona a cui vi state affidando, per conoscere i suoi titoli accademici e professionali e capire quali siano le sue competenze e da dove deriva la sua esperienza.
Cosa reputi fondamentale nel tuo lavoro?
L’utilizzo di un metodo che sia rispettoso del benessere del cane prima di tutto. Importante anche far capire ai proprietari che il cane non è un robottino che deve darci obbedienza, ma che il fatto che il cane scelga di fare quello che gli diciamo non può prescindere dall’aver costruito con lui un ottimo rapporto che si fondi sulla fiducia reciproca.
1024351 IRENE SOFIA, FOTOGRAFATA AI GIARDINI PUBBLICI
Irene e Pinta, la sua australian shepherd – Foto di Duilio Piaggesi
1024358 IRENE SOFIA, FOTOGRAFATA AI GIARDINI PUBBLICI
Irene durante una lezione – Foto di Duilio Piaggesi
Grazie, Irene, per il tempo che mi hai dedicato.
QUESTO il sito di Irene
QUI un’intervista a Irene realizzata da  Simone Perotti, su RAI5
Dedico a Irene, Destiny degli Zero 7

Una serata leggera, finalmente……

Ieri ho incontrato Barbara per la prima volta. O meglio, per quella che ritengo la nostra prima volta. Importante ed emotivamente forte.

L’avevo incontrata circa tre anni fa in rete attraverso il suo blog. Avevamo simpatizzato anche perchè, oltre l’etica vegan e il modo di interpretare la vita, ci univa la passione per la moto (io ducatista, lei “giapponese”).

Ci siamo viste, in carne (si fa per dire perchè è uno scricciolo) ed ossa, un anno dopo la nostra frequentazione virtuale, in occasione di una festival vegano a cui partecipavamo con ruoli diversi.
Quello che doveva essere un incontro ricco di aspettative e la conferma della simpatia e stima suscitate e palesate in rete si rivelò, nella sostanza, un incontro maledetto.
Barbara, in quell’occasione, fu involontaria spettatrice di una vicenda che coinvolgeva me direttamente e lei indirettamente e che portò entrambe a una serie di incomprensioni, equivoci, fraintendimenti, allontanamenti, tentativi di  riavvicinamenti, malintesi che si inanellavano senza tregua.
Per due anni – pur con un disagio emotivo sempre più debole, grazie al tempo che riusciva a sfumarlo riducendone la pesantezza – mi sono tenuta dentro l’esigenza di un confronto e di un chiarimento  diretti, vis à vis, con lei, senza mai disperare che l’incontro avvenisse.
Per temperamento, non riesco a vivere con “conti in sospeso” con le persone che stimo, che mi interessano, che amo, che non voglio perdere, senza la possibilità di chiarire, di confrontarmi, di spiegare, di chiedere scusa, se necessario.
Non mi rassegnerò mai né al silenzio né  alla chiusura, condizioni che accetterei soltanto come inevitabili e necessari solo se emergessero dopo un chiarimento.
La ghiotta occasione per noi è giunta ieri sera, a casa mia. Barbara è venuta a consegnarmi il primo premio per il post che ho scritto per la tavola rotonda, sul buonismo. Eravamo in tre: io e lei e Joy, la mia cagnolina. Doveva esserci anche Alessandra (ne ho parlato qui  e qui) ma, per impegni, non ha potuto partecipare all’incontro. Da un certo punto di vista – quello del chiarimento –  è stato meglio così.
Il premio è il libro “Il cancello” di Francois Bizot – tradotto da Orietta Mori e una bella lettera scritta a mano, rara in questa era tecnologica. E di questo la ringrazio ancora, anche per le belle parole.
Abbiamo cenato insieme e parlato per ore. L’occasione era troppo importante.
Ci siamo chiarite, abbiamo ricordato, sviscerato, ci siamo confrontate, ci siamo spiegate. Non è importante conoscere il casus belli anche perché coinvolgerebbe persone che, pur non interessandomi da nessun punto di vista, non ritengo giusto vengano  rese riconoscibili ma voglio gridare a gran voce quanto sia importante il chiarimento, il confronto, anche duro e acceso, sempre onesto e trasparente. E solo tra persone intelligenti, aperte, disponibili al dialogo (tra le quali Barbara e io ci annoveriamo. Presuntuosa?), possono avvenire i miracoli.
Barbara ha lo sguardo limpido, diretto, guarda in faccia mentre ti parla, è spontanea, sa ascoltare. E ha una risata contagiosa.
Sono davvero fortunata!

Il menu?
Antipasti: spuma di carote e mandorle, hummus di ceci
Piatto forte: seitan (autoprodotto) al cocco e curry con riso basmati
Contorno: finocchi con mandorle, pomodori secchi e polvere di arancia
Pane (autoprodotto) di frumento integrale e farro con pasta madre di farina integrale
Dolce: Budino all’arancia (la variante di ieri è che al posto del latte di riso ho usato succo d’arancia puro al 100% come da ricetta di veganhome)
Ecco Barbara con la mia Joy
Bibi

Non c’era musica, stranamente, ieri sera ma solo le nostre voci….
Dedico a Barbara “A natural woman” di Arteha Franklin


Propositi per il 2013

lista-di-cose-da-fare

1) Leggere di più
2) Andare di più al cinema (farei contento anche mio marito)
3) Frequentare di più gli amici
4) Mordermi la lingua o, in alternativa, contare fino a 1000 prima di parlare
5) Essere più tollerante con gli altri
6) Mantenere il peso forma
7) Dire più spesso “Ti voglio bene” ai miei cari
8) Mettere in ordine i miei cassetti della cabina armadio (in disordine da mesi e mesi)
9) Organizzare il viaggio in barca a Pitcairn (chissà per quando…., spero di non andarci con la badante…)
10) Essere meno rigida con me stessa
11) Valutare le situazioni più con la testa che con la pancia
12) Mettere la testa a posto (i capelli….)
13) Tornare a guidare la macchina (non guido da 10 anni, mi faccio scarrozzare) e non fissarmi solo con la moto
14) Organizzare il viaggio negli States per andare a trovare le mie amiche  Silvia e Moky

Ascoltando Sonny Rollins in St Thomas


Intervista a una traduttrice letteraria

Foto dal web

Sono molto orgogliosa di pubblicare questa intervista a Silvia Pareschi, traduttrice letteraria dall’inglese, in trasferta a San Francisco. Di lei avevo già parlato qui  in occasione del nostro incontro a Milano e qui quando ci siamo viste a Torbole, anche con Rose, nel mio B&B.
Prima di incontrarla in rete, più di un anno fa, e di persona più recentemente, ignoravo quasi totalmente la figura del traduttore. 

Conoscevo unicamente Fernanda Pivano, che ha dato un contributo fondamentale alla conoscenza della letteratura americana in Italia.
Non che pensassi che i libri si traducessero da soli ma la mia concentrazione era calamitata unicamente dall’interesse per il libro dell’autore straniero, per la trama, il modo di scrivere, i dialoghi.
Ora quasi mi vergogno all’idea di non essere stata sfiorata dal pensiero che dietro un buon testo di un autore straniero ci fosse  il traduttore, un professionista che proprio grazie al suo lavoro interessante e importante contribuisce al successo di un testo e del suo autore nonchè alla sua divulgazione.
Non avremmo mai potuto leggere importanti  testi di autori stranieri (ad esclusione di chi ha la fortuna di conoscere bene una o più lingue) senza il lavoro del traduttore.
Silvia, nonostante svolga una professione importante e di grande rilievo culturale e sia una persona di grande cultura e dai molteplici interessi, è una persona simpatica, diretta, affabile, dal sorriso accattivante. Inoltre, il suo stile elegante e i suoi modi raffinati mi hanno veramente conquistata.
Sono veramente felice di averla incontrata. E la ringrazio tantissimo per avermi dedicato il suo tempo.

Silvia, quando hai deciso che avresti fatto la traduttrice letteraria?
Da ragazzina, prima di iscrivermi all’università, avevo il vago desiderio di diventare traduttrice di letteratura… russa. Dopo essermi laureata in russo, però, cambiai idea e decisi che non sapevo più cosa volevo diventare.
Che percorso di studi e formazione sono  indispensabili per essere un buon traduttore?
Se volete un percorso lineare e sistematico, non fate come me! Dopo la laurea in russo provai diversi lavori, poi mi iscrissi a una scuola di scrittura dove venni “scoperta” da una importante traduttrice. Oggi ci sono molti corsi, universitari e di perfezionamento, a cui ci si può iscrivere. Poi comincia la gavetta, e lì ci vuole senz’altro anche un po’ di fortuna.
Perchè, secondo te,  il traduttore, pur essendo una figura importante, è trascurato e resta sempre nell’ombra?
Ci sono tanti motivi. Da una parte esiste la convinzione che basti conoscere una lingua per diventare traduttori; dall’altra manca l’attenzione – da parte degli editori prima di tutto (non sempre ma spesso), e poi dei recensori – per l’importanza di una buona traduzione. E poi la buona traduzione, per definizione, non si nota. Tutti la notano solo quando è brutta!
Puoi raccontarci come avviene il tuo lavoro, operativamente, a partire dal primo contatto?
In genere è la casa editrice che mi propone una traduzione. Quando comincio a tradurre un libro, di solito faccio una prima stesura il più possibile accurata, seguita da una rilettura molto attenta e minuziosa, fatta confrontando il testo tradotto con l’originale, parola per parola. Al primo giro la concentrazione è tutta sulla singola parola; con la seconda stesura comincio a lavorare sul testo per creare una prosa fluida e aderente allo stile dell’autore. La terza fase è una rilettura più veloce, quasi da lettrice “comune”, nella quale cerco di “sentire” il testo come se fosse stato scritto direttamente in italiano. A questo punto il libro passa all’editor/revisore, che dopo un primo giro di correzioni me lo rimanda da controllare. Infine, dopo il confronto e le discussioni con l’editor, il libro viene messo in bozze, e in questa fase effettuo un’altra rilettura per dare la mia approvazione finale.
Hai dei colloqui preliminari con l’autore? O hai solo dei contatti con la casa editrice?
I colloqui con l’autore avvengono di solito in corso di traduzione, dopo una prima stesura in cui individuo i dubbi da sciogliere e i chiarimenti da chiedere. Di solito sono dialoghi molto interessanti e proficui – per me, senz’altro, ma a volte anche l’autore scopre qualcosa di nuovo, un punto di vista diverso sul proprio testo. La cosa più emozionante è quando riesco a incontrare gli autori di persona, dopo essere entrata a fondo nelle loro opere e aver dato loro una voce in italiano.
Molte parole sono pressochè intraducibili o, quanto meno, la traduzione ne penalizza il significato. In quel caso come ti comporti?
Le soluzioni variano a seconda dei casi. Si possono usare perifrasi, “note interne” per spiegare il significato di una certa espressione, oppure, là dove ci sono giochi di parole, ricreare qualcosa di equivalente in italiano. L’importante è mantenere l’intenzione, l’effetto che l’autore voleva creare in quel punto della narrazione.
Silvia, hai avuto dei maestri? Se non li hai avuti, a chi ti sei ispirata?
Sono stata molto fortunata, perché ho avuto non una, ma ben due maestre eccezionali. La prima è stata Anna Nadotti, grande traduttrice di A. S. Byatt, Amitav Ghosh e molti altri, che mi ha “scoperta” durante un seminario e mi ha segnalata a quella che sarebbe diventata la mia seconda maestra, Marisa Caramella, grande traduttrice ed editor dalla quale ho imparato molto di quello che so.
Quali autori hai tradotto?
Ne ho tradotti tanti. Jonathan Franzen, Junot Díaz, Denis Johnson, Julie Otsuka, Nathan Englander,Nancy Mitford, E. L. Doctorow, Amy Hempel, Annie Proulx, Don DeLillo, Cormac McCarthy e molti altri, fra i quali anche mio marito, Jonathon Keats, di cui ho tradotto Il libro dell’ignoto per la casa editrice Giuntina.
Vivi un po’ in America e un po’ in Italia per esigenze legate alla tua professione o solo per motivi personali?
Un po’ per entrambe le cose. Diciamo che i motivi personali si sono incastrati perfettamente con le esigenze professionali.

Dedico a Silvia uno strepitoso brano di Dave Brubeck “Take five“.

Blog affidabile bis!

Come scrissi QUI – e  ora, pigramente,  copioincollo  – “sono refrattaria ai premi, ai contest, alle  competizioni e a tutto ciò che ruota intorno a questo tipo di manifestazioni in rete” ma, ancora una volta, sono felice di ricevere, per la seconda volta il premio di “Blog affidabile” .
La prima volta fu Silvia ad assegnarmelo.
Questa volta lo ricevo da Barbara del blog Correndomi incontro. E ora, come allora, sono orgogliosa di ricevere questo riconoscimento da una persona che stimo, verso la quale nutro un sentimento forte, fatto anche di slanci di segno opposto ma sempre positivi e passionali.  Grazie Bibi!! E, naturalmente, ti riassegno il premio!!!

Ora, il regolamento vuole che il premio lo attribuisca, a mia volta, a 5 blogger affidabili. Ma io lo assegnerò a 7.

La regola vuole che esprima questa dichiarazione solenne!!

Dichiaro che i blog seguenti da me scelti rispettano le 5 regole del Premio “Il Blog Affidabile”  disponibili a questa pagina http://www.gliaffidabili.it/a/altro/il-premio-il-blog-affidabile . Sono pertanto una risorsa utile per gli utenti della Rete e meritevoli di essere conosciuti da un pubblico più ampio“.
Le 5 regole:
1) E’ aggiornato regolarmente
2) Mostra la passione autentica del blogger per l’argomento di cui scrive
3) Favorisce la condivisione e la partecipazione attiva dei lettori
4) Offre contenuti ed informazioni utili e originali
5) Non é infarcito di troppa pubblicità

Assegno il premio a questi blogger:

Alessandra del blog “Note di colore per gli argomenti che tratta, in particolare i viaggi, per la raffinatezza e lo stile della sua scrittura, per la grafica del blog, lineare e pulito.

Elle del blog “Oceanstwo” (che, a breve diventerà “Oceansthree….”  😉 ) per le magnifiche foto, per i racconti della sua vita da espatriata a Lisbona, per la leggerezza degli articoli che si leggono con interesse e d’un fiato.

Herby, del blog “Confessioni di un erbivoro, per la freschezza della sua scrittura, per le ricette originali ma semplici da realizzare, per la grafica pulita, lineare, minimalista ma accattivante. E questo riconoscimento è anche un benvenuto, dopo un periodo “sabbatico”, di assenza dal blog.

Franco del blog “My sugar is raw” per le magnifiche foto artistiche, per le ricette crudiste di altissima cucina, per la grafica e per  la traduzione in inglese (di Massimo – vedi sotto) che conferisce un tocco di internazionalità al blog.

Massimo del blog “Il tavoliere di Niceta” per la passione con cui descrive le preparazioni dei suoi panzerotti, per le foto descrittive come articoli, per la traduzione in inglese  (che è sua) e per la linearità del suo blog, dal punto di vista grafico.

Marta del blog “New Horizons” per il calore che traspare dai suoi scritti sia durante la lunga permanenza in Cina, sia ora in patria, per l’originalità delle sue ricette e per la generosa condivisione.

A Stefy del blog “Stefycunsyinyourkitchen“- che ho incontrato da poco grazie a Barbara, che ha linkato il suo blog su FB – per le sue ricette salutari, per la generosa condivisione di …. trucchi  del mestiere trattati in modo accurato e chiaro.

Tutti questi blogger, Barbara compresa, naturalmente,  hanno la comune – e da me superapprezzatissima – caratteristica di rispondere sempre ai commenti dei loro lettori. Magari in tempi diversi ma sempre con disponibile attenzione. 

Dedico a Barbara “Impressioni di settembre” della PFM (il pezzo è magnifico e settembre è il suo mese)


Intervista a due creativi


Giusy e Stefano, li ho conosciuti un annetto fa sul web. Ero a New York per frequentare il corso di oreficeria allo Studio Jewelers  (QUI come passavo le giornate in laboratorio…) e, per approfondire certe tecniche, alla sera cercavo su google i siti che potevano darmi le risposte che cercavo.

Anche perchè – è quasi un paradosso – imparavo la terminologia tecnica in inglese ignorando completamente quella italiana. E mi interessava conoscere i termini tecnici e la strumentazione nella mia lingua anche per poter rifornirmi del materiale necessario esprimendo le opportune richieste.

Grazie alle spiegazioni trovate sul sito di Giusy e Stefano, sono riuscita a trovare molte indicazioni. Ma alcune cose volevo ulteriormente approfondirle e così, con un po’ di faccia tosta (che si acquista vivendo sola in una megalopoli e a 6000 km da casa) ho inviato loro un email.

Non solo ho avuto subito la risposta ma è intercorsa, successivamente,  una fitta corrispondenza virtuale che, man mano, travalicava l’argomento meramente tecnico entrando in aree più personali e private che non potevano non finire nella promessa di un incontro, al mio rientro in Italia.

Durante la corrispondenza abbiamo scoperto molti punti di interesse, a partire dalla musica (sono anche musicisti), dall’amore per gli animali, per l’arte, per le moto, per i viaggi. E Giusy non si è mai risparmiata gli incoraggiamenti quando vacillavo e vedevo tutto difficile e oscuro…

L’incontro è avvenuto a Levico Terme, dove hanno l’attività di orafi da 20 anni (provenienti dal Friùli) e dove ho potuto vedere le meraviglie che crea Stefano e la nuova attività di Giusy legata alla trasformazione delle immagini fotografiche.

Alla sera abbiamo concluso la nostra giornata in un ristorante veg poco distante da Levico: Veg Point – Via Alberè 22 – Tenna (TN) – Tel 0461/700149.  E posso dire che anche questo incontro è stato estremamente ricco e positivo, concludendosi con questa intervista.

Stefano, da quando hai iniziato a interessarti di arte orafa?

Dopo le superiori (geometra) e un lavoro come aiutante elettricista, ho iniziato a frequentare un laboratorio orafo nel mio paese d’origine: Codroipo, in provincia di Udine. Qui ho assaporato il piacere del lavoro artigianale, e scoperto una vocazione per quest’arte. E’ strano perché non avrei mai pensato di lavorare nell’ambiente orafo: da un lato non avevo interessi di questo tipo, dall’altro avendo alcuni cugini a Valenza Po (in provincia di Alessandria, tra i più grandi poli orafi d’Italia  – l’altro è Vicenza) che lavorano come operai orafi in vari laboratori o ditte, avevo già catalogato quello come un lavoro settoriale, di pura manovalanza, non adatto a me. L’artigianato è tutta un’altra cosa: segui una creazione dall’inizio alla fine, godendo di tutti i passaggi e vedendola crescere tra le tue mani: è decisamente più soddisfacente e completo, come lavoro!

Chi è stato il tuo maestro (o la tua scuola)?

Non ho fatto scuole d’arte ne’corsi specifici di oreficeria; dall’orafo che ho frequentato al mio paese ho “rubato” molto con gli occhi, e quando mi ha fatto provare l’attività presso un suo collega a Udine, le basi venivano già da sole! Poi lì sono rimasto “a bottega” per parecchi anni e ho imparato l’arte orafa in tutte le sue sfaccettature. La scuola è sicuramente importante, ma non c’è niente di meglio che imparare direttamente sul campo. Tanto la creatività e l’estetica o le hai o non le impari con una scuola, mentre tutti i problemi tecnici che affronti in un laboratorio di creazioni e riparazioni ti preparano alla vita reale e alla possibilità di avviare con competenza un’attività in proprio.

Che cosa o chi, dal Friùli, vi ha spinto in Trentino?

Stefano: Il caso, come spesso capita. Siamo venuti  in ferie in zona per un paio di anni e il luogo ci è piaciuto: entrambi siamo appassionati di montagna, tanto da dedicarci poi a trekking e ferrate. Giusy si stava laureando senza avere prospettive di lavoro se non all’estero, mentre io, dopo tanti anni di lavoro sotto padrone, sentivo che potevo espormi in qualcosa di più personale.

Abbiamo scelto un posto non troppo dissimile dalla nostra pianura ma con tante montagne interessanti attorno, ci siamo lanciati e… eccoci qua! Nel 1992 abbiamo aperto il nostro Laboraotrio Orafo NIGI (www.nigilab.com). Giusy mi aiuta molto nella gestione dell’attività permettendomi di dedicarmi esclusivamente al lavoro “da banchetto” ma nel contempo si esprime anche lei realizzando alcuni modelli personali.

Cos’è che caratterizza le creazioni NIGI?

In Friuli ci sono parecchi laboratori orafi piccoli, per lo più a conduzione familiare, dove si realizzano gioielli secondo un’antica tradizione longobarda, ed è questa che ho sviluppato. I gioielli vengono realizzati con il metodo della “fusione a cera persa” (ossia si lavora prima la cera e poi la si trasforma in metallo) e vengono scolpite delle parti che successivamente non saranno lucidate: questo gioco di oro-lucido e oro-grezzo è tipico delle popolazioni antiche e in Trentino non si vedevano esempi di questo tipo. Abbiamo proposto questa nuova lavorazione


che ha avuto successo sia tra i clienti locali sia tra i turisti,  stranieri e italiani. Alcuni conoscono questa lavorazione con il termine di “oro etrusco”, anche se non sarebbe del tutto corretto in quanto i gioielli antichi di quella zona venivano realizzati con la tecnica della granulazione.

Comunque lavoro anche direttamente il metallo e con la fusione a cera persa realizzo anche gioielleria classica, tutta lucida.
Altre creazioni di Stefano:

So che partecipate anche a mostre, eventi ecc. Cosa ci racconti in proposito?

L’Associazione Orafi in Tentino è ben organizzata creando così eventi e mostre di ogni tipo. Periodicamente realizziamo quindi dei gioielli in tema per le varie mostre (www.nigilab.com/IN ), ma siamo stati inseriti anche nell’Annuario dell’Artigianato Artistico Italiano, nel 1997, e siamo stati segnalati al Premio ArtigiAno 2010 per “la capacità di tradurre in un gioiello la spiritualità di un gesto”: l’opera per il concorso era “Il Segno della Croce”, una croce realizzata con due fili contigui che seguono quel gesto sacro,
appunto: ora questo è il nostro prodotto di punta, quello che più ci caratterizza in zona.
Di tanto in tanto ci occupiamo anche di attività didattica ospitando scolaresche nel nostro laboratorio o eseguendo dimostrazioni pubbliche. Ho sempre amato divulgare il mestiere, spiegando ai clienti i vari passaggi delle lavorazioni e sviluppando un negozio con laboratorio a vista.

Adesso mi sto attivando per diventare Maestro Orafo, ma è un processo molto lungo, distribuito in più anni.

Giusy, tu sei laureata a Ca’Foscari in Lingue e Letterature Orientali e hai viaggiato molto in India. Che cosa ti resta di quell’esperienza sia di studio sia di vita?

Sono stati anni molto ricchi, a livello culturale. Ho sempre amato tutto ciò che è “lontano” e diverso, mi piace confrontarmi con culture alternative alla mia, e questo percorso didattico ha soddisfatto queste mie esigenze.

Studiando la filosofia e le religioni orientali ho imparato tante cose: confrontandole con la nostra cultura ho potuto notare come esistano delle Verità Universali, comuni a tutte le civiltà, e questo è ciò che più mi ha colpito e che si è “inciso” dentro di me influenzando tutto ciò che faccio ed esprimo nella mia vita. Non sono i numeri, i nomi e le date che ti arricchiscono come persona, ma i concetti sottintesi a quelli.

Che lingue hai imparato?

L’Hindi, la lingua principale dell’India (in quanto parlata nella zona della capitale) tra le 14 ufficiali nel subcontinente (alcune perfino con un alfabeto diverso!); un po’ di sanscrito, ossia la sua controparte antica, come il greco e il latino per noi europei; infine l’inglese, che ho specializzato in una facoltà parallela: sempre a Ca’ Foscari di Venezia ma alla facoltà di Lingue e Letterature Occidentali, per poter esercitare l’insegnamento, eventualmente. Ah, dimenticavo, il primo anno di studi ero iscritta ad Arabo, per cui ho iniziato a studiare anche l’arabo classico, il tunisino e il libanese, ma ora non li ricordo più molto.

Siete anche musicisti e il vostro gruppo si chiama Talking Sound.  Come è nata la vostra passione per la musica?

Giusy: la musica è stata la mia prima vera passione, ma la mia famiglia non l’aveva realmente capito per cui ho potuto dedicarmi seriamente allo strumento della chitarra solo in età avanzata (dopo i trenta) e una volta trasferitami in Trentino.
Ho preso lezioni dapprima da un vicino di casa, poi ho seguito i corsi di una scuola seria per qualche anno e infine – dopo alcuni anni durante i quali mi sono dedicata alle composizioni di canzoni proprie, suonato in una band al femminile e fondato un “duo elettrico” con mio marito, chiamato appunto Talking Sound –  ho preso lezioni private per un paio di anni sulla chitarra solistica rock e l’improvvisazione jazz. www.youtube.com/talkingsound1  www.myspace.com/talkingsound.
Con il duo ho dovuto anche cantare, per cui ho iniziato a prendere anche lezioni di canto, ma qui ho più lacune…

Stefano: io invece non avrei mai pensato di dedicarmi alla musica –nemmeno qui… mi sa che la mia vita è stata tutta una sorpresa! Ma vedendo quanto impegno ci metteva Giusy, ho detto, perché no? Qualcosa devo fare anch’io nel frattempo! Così ho studiato la batteria, dapprima nella scuola della banda locale, poi prendendo lezioni da batteristi molto conosciuti in zona. Quando il gruppo di Giusy si è sciolto abbiamo iniziato a provare in casa, dove abbiamo una sala prove, e visto che le cose funzionavano bene anche in due, abbiamo fondato questo duo elettrico e iniziato a suonare in giro le canzoni di Giusy, che è molto creativa, in questo senso.

Insomma: Giusy mi segue nell’attività lavorativa e io l’ho seguita nell’hobby della musica!

Che cos’è il “duo elettrico”?

Giusy: per duo, in musica, si intende ovviamente due strumentisti che suonano assieme. Quando c’è di mezzo almeno uno strumento elettrico, si può parlare di duo elettrico. Noi suoniamo la chitarra elettrica e la batteria, ma esistono duo simili in formazione basso-batteria. Siccome questa formazione non è effettivamente molto conosciuta (eccetto il caso dei White Stripes, probabilmente), e che a molti pare perfino una band “monca” in quanto mancante del basso o della chitarra, ho creato una pagina dapprima su Myspace, infine su Facebook dedicata all’argomento e l’ho chiamata Electric Duo Project. Su myspace (www.myspace.com/electricduoproject) ho radunato tutte le band che trovavo, a livello mondiale (mica tante eh, poco più di un centinaio!); le ho personalmente contattate, mi sono fatta inviare una biografia, foto videi e brani musicali che avevo raccolto e pubblicato in vari lettori e album, poi però c’è stato un cambiamento grafico di grande impatto nel social network e ho perso molto materiale. Non ho avuto più tempo per dedicarmi a quella pagina, che è quindi un po’ abbandonata e incompleta, ora.

Su FB ho invece realizzato una pagina in tema radunando le band italiane, e siamo ora tutti in contatto, scambiandoci date di concerti ecc. http://www.facebook.com/?ref=home#!/group.php?gid=173645233591

Infine per anni ho tentato di realizzare un festival in tema, contattando dei produttori  ma quand’era a buon punto è sfumato tutto per carenza di sponsor: eh questa crisi, non c’è settore che non colpisca!

Giusy, ora hai iniziato una tua attività creativa legata all’elaborazione delle immagini fotografiche. E l’hai chiamata Joy Arte Grafica. Innanzitutto, lo sai che ho chiamato  la mia cagnolina Joy  proprio ispirandomi al  nome che hai dato alla tua attività? Comunque, tornando alla tua arte, da cosa nasce questo interesse per la trasformazione delle immagini su tela?

Sì sì, mi ricordo, si chiamava Gaia ma l’entusiasmo per la mia nuova attività ti ha travolto così tanto che abbiamo condiviso questo splendido nome con le nostre passioni… Sai, certe cose nascono quasi per gioco: durante le lunghe serate invernali mi capitava di rimaneggiare un po’ di foto,  e così ho imparato ad usare con destrezza certi programmi fotografici. Esagerando con le elaborazioni ho visto che nascevano cose nuove, insolite ed interessanti, perfino lontane dalle immagini originarie, ed è stata proprio la sorpresa di veder nascere questi nuovi soggetti e le emozioni di gioia che mi comunicavano, che ho scelto questo nome: JOY.
Ora amo fotografare cose stranissime per poi vedere cosa se ne può ricavare.
Dapprincipio ho elaborato i soggetti astratti e i Daemon (nel senso greco del termine, ossia apparizioni di altri mondi che fungono da messaggeri tra gli dei e gli uomini), li ho stampati su pannelli forex (materiale leggero ma resistente, con la stampa direttamente su pannello, non carta fotografica incollata che poi col tempo cede) e decorato la nostra abitazione. L’interesse degli ospiti era sempre di sorpresa e di gioia, e alcuni di loro me ne hanno ordinato qualcuno. Da qui richieste di soggetti più vari e “comprensibili” come fiori, animali ecc. e quindi mi sono lanciata “sul mercato” elaborando soggetti vari.
Ecco alcune creazioni di Giusy

Se qualcuno volesse vedere le tue opere, dove le trova? E come fa ad acquistarle?

Siccome ho iniziato da poco l’attività, per il momento ho realizzato una semplice pagina facebook (www.facebook.com/joyartegrafica); cliccando su “foto” appaiono degli album suddivisi nei vari soggetti del catalogo. Se interessati basta inviare un messaggio o scrivere a joyartegrafica@teletu.it

Intanto ti ringraziamo per l’interesse, la tua disponibilità nei nostri confronti e il bel lavoro che fai con questo blog. E’ stato un piacere essere intervistati da te!

Ringrazio Giusy e Stefano per il tempo che mi hanno dedicato e per la passione che mi hanno trasmesso, ascoltandoli.

Dedico a loro questo bel blues: il grande BB King in Blues Boys Tune


Blog affidabile!

Sono refrattaria ai premi, ai contest, alle  competizioni e a tutto ciò che ruota intorno a questo tipo di manifestazioni in rete ma non posso non ritenermi felice di aver ricevuto questo premio proprio da Silvia, ragazza che stimo e ammiro tantissimo e che ho avuto il piacere di incontrare a Milano durante uno dei suoi soggiorni in Italia. Perché, la fortunella, gran parte dell’anno vive a San Francisco!!
Da qui il titolo del suo blog Nine hours of separation.
Ricevere un premio da una persona di valore come lei me lo fa apprezzare anche con una punta di orgoglio! Grazie Silvia!
Naturalmente il regolamento vuole che il premio lo attribuisca a 5 blogger affidabili. La scelta è veramente imbarazzante anche perché tutto il mio blogroll è composto da blogger che stimo e che, per una ragione o per l’altra, mi arricchiscono.

La regola vuole che esprima questa dichiarazione solenne!!
Dichiaro che i blog seguenti da me scelti rispettano le 5 regole del Premio “Il Blog Affidabile”  disponibili a questa pagina http://www.gliaffidabili.it/a/altro/il-premio-il-blog-affidabile . Sono pertanto una risorsa utile per gli utenti della Rete e meritevoli di essere conosciuti da un pubblico più ampio“.
Le 5 regole:
1) E’ aggiornato regolarmente
2) Mostra la passione autentica del blogger per l’argomento di cui scrive
3) Favorisce la condivisione e la partecipazione attiva dei lettori
4) Offre contenuti ed informazioni utili e originali
5) Non é infarcito di troppa pubblicità

Dunque, avrei attribuito il premio a 3 blogger che l’hanno già ricevuto:
A Silvia del blog Ninehoursofseparation per la condivisione di tante informazioni di alto spessore, per la leggerezza con la quale le scrive, per l’eleganza con cui le scrive, per la sua simpatia, per i riscontri personali ai commenti dei suoi post e  last but not least per  il notevole senso critico con cui esprime e descrive la sua vita in America.
A Davìda del blog Basilico&Ketchup per la passione e l’anima che si percepisce dai suoi post, scritti perfettamente, per l’inquieta spontaneità con cui esprime la nostalgia per l’Italia e per il senso critico con cui descrive la sua vita di emigrata negli States (stessa ragione di Silvia). Per la simpatia che ho provato per lei quando ci siamo incontrate a New York, l’anno scorso, alla festa di san Gennaro! E, anche lei, per il riscontro personale ad ogni commento.
Ad Antonella, altra emigrata, a Dublino, del blog Antorra, per le coinvolgenti e magnifiche immagini che scatta. Fotografie che sono pregnanti come dei racconti e che lasciano il segno nell’anima. E per i riscontri personali ai commenti.

Ma, come ho detto, visto che questi blogger il premio l’hanno già ricevuto – e pare che il regolamento non preveda cumulo di nomine -ho altri 5 premi da assegnare.

Alla mia amica Monica del blog Moky’s blog per la sua scrittura diretta, raffinata, sanguigna, per la brutale sincerità con cui parla di sé e della sua vita, per la sua generosità, per le descrizioni della sua bella e numerosa famiglia, per i racconti di vita americana e per la sua anima rimasta italiana.
A Libera del blog Accantoalcamino  per la schiettezza con cui scrive i post, per la passione che si percepisce tra le righe, per l’apparente  ruvidezza che fa intravvedere, in un osservatore attento, una dolcezza e un’affettività senza confini.
Per le sue ricette che sembrano sculture.
A Francesca del bog Briciole di Cesca  QB per la leggerezza dei suoi articoli, per l’autoironia, per la magnifica grafica e per il senso dell’umorismo sempre presente nei suoi testi. E per le ricette originali che compone.  E per la sua simpatia.
A Saretta, che ora starà preparando la valigia destinazione Hawai’i,  del blog Defelicitateanimi per la sua curiosità, le sue riflessioni, i suoi racconti di viaggio, le recensioni di libri e i reportage. E per le sue ricette semplici e veloci da realizzare. E per la sua spontanea simpatia rivelata quando ci siamo viste a Milano.
A Yari, del blog Il cucchiaio di legno, per l’eleganza e lo stile della sua scrittura, per l’utilissima  suddivisione delle categorie e del blogroll, per le recensioni di viaggio, ricche di immagini e spunti utili e interessanti, per la leggerezza della scrittura e per la simpatia dell’autore, incontrato più volte.

Ma io assegno il premio anche a  tutti gli altri blogger non citati in questo post ma che fanno parte del mio blogroll. A tutti dico a gran voce un grazie per aver  arricchito e continuare a farlo, con i loro post, le mie conoscenze.

Dedico a tutti gli amici blogger il sax di Branford Marsalis in The Ballad of Chet Kincaid


Auguri all’ America e non solo…


L’anno scorso, il  giorno dell’Independence day  ero a New York. La città trasudava patriottismo  – in certi casi spinto agli eccessi da rasentare il ridicolo e il pacchiano – da tutte  le angolature.
Ho vissuto tre Independence day negli States e l’esperienza è stata sempre molto interessante, se non altro dal punto di vista sociologico (è una mia deformazione….).
L’anno scorso a New York,  il corso che frequentavo era chiuso per l’importante celebrazione e io mi sono divertita come una matta ad andare a caccia di immagini curiose, simpatiche, eccessive.
Comunque, al di là di tutto, AUGURI AMERICA!!

Ma il 4 luglio ricorre anche il primo anniversario di questo blog che, proprio perché è nato in America,  merita particolare attenzione nel Giorno più importante per gli States.
Grazie a questo blog, creato per ridurre quel senso di solitudine per la lunga assenza da casa e in un posto lontano, ho conosciuto persone interessanti e particolari che hanno dissolto – almeno in parte –  attraverso i loro commenti, le loro mail, le loro tracce, la loro costante presenza, quel senso di isolamento che spesso mi assediava, nonostante vivessi in una delle città che più amo.

Ma un augurio speciale è per la mia cara amica Moky, milanese emigrata da 20 anni negli States, che da pochi giorni è diventata americana (e a novembre potrà votare per Barack Obama!).
Moky  non solo è vegan ma è anche una persona generosa, altruista, affettuosa, aperta e intelligente. Ed è una SuperMamma di 4 bellissimi bambini/ragazzini.
A distanza – grazie a Skype –  mi ha aiutato in diverse situazioni di disagio (in particolare, alle Hawaii avevo problemi con le tubature e mi ha aiutato a gestire la padrona di casa…), mi è stata vicina telefonandomi spesso mentre ero a New York, mi ha confortata durante l’Uragano Irene (ero terrorizzata), mi ha  risolto un paio di problemi di spedizioni via Internet con aziende a stelle e strisce che non accettavano la carta di credito italiana, mi ha inviato diversi pacchi pieni di leccornie vegan oltre alla teglia per i donuts grandi e piccoli.
Moky, inoltre, ha tradotto in tempo record (un giorno) il testo (lungo) del sito del mio B&B essendo l’inglese ormai la sua madrelingua, con un entusiasmo per questa mia nuova avventura che mi commuove ogni volta che lo manifesta.
E’ veramente raro trovare una persona che conosca il significato dell’Amicizia. Grazie Moky!
 
I libri della foto li ho letti diversi anni fa e li vorrei rileggere. Ecco perché li ho esposti.

1) AMERICA PERDUTA – In viaggio attraverso gli USA  – di Bill Bryson
TRADUZIONE  di Amedeo Poggi e Annamaria Melania Galliazzo

2) IL DOTTOR SAX – BIG SUR * – di Jack Kerouac
TRADUZIONE  di  Magda De Cristofaro e Bruno Oddera

* Big Sur è uno dei posti più incantevoli che abbia visitato. Si trova al centro della California, a picco sul Pacifico.

Sto ascoltando  John Coltrane in Just Friends.