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Un vuoto da riempire

sei un’estremista” – “anch’io amo gli animali” – “e se fossi su un’isola deserta? ” – “mangiare vegano costa” – “non ho tempo”

“e non pensi ai bambini che muoiono di fame, alle donne violentate, agli anziani ai disabili?”

“odio tutte le dittature ideologiche  che spesso mascherano altre problematiche” 

“ritengo che ognuno debba maturare le proprie scelte senza sentirsi dare del boia. “

“Sull’urgenza etica sono d’accordo ma non mi sembra il modo drastico e autoritario il modo migliore per affrontarla”

“non puoi criticare le scelte personali” – “non voglio scontrarmi con la famiglia” – “Le proteine dove le prendi?”

“Il leone mangia la gazzella” – “neghi le tradizioni” – “così si è sempre fatto

Sono solo alcuni degli stereotipi, frutto dell’ignoranza, della pigrizia mentale e della superficialità – spesso tutte queste cose insieme –  che i carnisti (*)/onnivori/specisti  ripetono – senza essere interrogati –  ai vegani quando se ne trovano uno davanti.  

Il carnista/onnivoro/specista scodinzola di gioia quando incontra un vegano perché, in tal modo, con la protervia che caratterizza chi è vittima dell’oscurantismo e non riflette, può pontificare, può snocciolare le sue banalità, i luoghi comuni triti e ritriti. Sono stanca di rispondere a chi ha il buio nella mente, buio che non gli consente di empatizzare, di non  capire o di fare uno sforzo, di non “sentire”.

Perché i carnisti/onnivori/specisti riducono tutto al cibo, manifestando  un limite culturale imbarazzante. L’antispecismo va ben oltre il piatto tant’è che il veganismo  – consumare cibi vegetali –  ne è solo una conseguenza. L’antispecista non finanzia la ricerca con sperimentazione animale, non finanzia i circhi con animali, i delfinari, i rettilari, gli zoo, gli acquari, non indossa pelle, lana, seta, non assume farmaci o prodotti cosmetici testati su animali. E non consuma cibi di origine animale.

Mi sforzo ancora una volta, forse l’ultima, a confutare alcune  affermazioni che ho elencato all’inizio dell’articolo. 

A chi afferma che  siamo estremisti vorrei mostrare i video che documentano  le umiliazioni e le torture che subiscono gli animali negli allevamenti intensivi prima e  nei mattatoi poi. Ma i carnisti si rifiutano di vedere i filmati con le investigazioni sotto copertura di tante associazioni come Animal Equality https://animalequality.it o Essere Animali https://www.essereanimali.org/

Altre affermazioni sono, a dir poco, sconcertanti come “odio tutte le dittature ideologiche che spesso mascherano altre problematiche”. Vorrei far notare che la dittatura è ben altra cosa e, forse, chi ha pronunciato quella scempiaggine non ne conosce il significato. Inoltre, i vegani, nel mondo, sono meno del 3% . Mi pare difficile pensare a una dittatura del 3%…… E l’altro 97% supinamente sopporta questa dittatura???? Ma il bello viene dopo con l’affermazione “mascherano altre problematiche”. Quali problematiche celerebbe un antispecista? Non posso rispondere perché la stolta affermazione non è stata argomentata.

I più teneri affermano: 

anch’io amo gli animali” 

e se fossi su un’isola deserta?”

Alla prima affermazione obietto che gli animali cui il carnista si riferisce sono cani e gatti senza riflettere che anche maiali, vitelli, agnelli, galline, conigli, tacchini, pesci  e tutto ciò che si mette nel piatto, sono esseri senzienti e desiderosi di vivere. Ma all’affermazione del carnista “amo gli animali” obietto anche che non è necessario amare gli animali per rispettarli.   Io, per esempio, non amo i serpenti e quando me ne sono trovato uno in Australia, nel bagno di un chiosco, me la sono data a gambe levate. Non per questo ho pensato che meritasse la morte.

Sull’isola deserta posso solo sorridere e scuotere il capo nell’udire una simile macchiettistica affermazione……. Quante possibilità ho di vivere da sola, su un’isola deserta?  Magari…..

A chi dice che penso solo agli animali mentre “ci sono intere popolazioni che muoiono di fame” obietto che il benaltrismo è un modo culturalmente modesto di argomentare e che, tra l’altro, non porta da nessuna parte. In ogni caso,  chi afferma tale ovvietà, facendo leva sul lato emotivo, non fa nulla per le popolazioni affamate. Se metà del mondo muore di fame la colpa non è dei vegani (ricordo, siamo meno del 3%….)  bensì del capitalismo e dello sfruttamento dei territori utilizzati per le piantagioni da dedicare all’alimentazione degli animali negli allevamenti intensivi ed estensivi anziché agli umani. 

Un’altra affermazione che mi fa sorridere è “il leone mangia la gazzella”. Come a dire che se il leone uccide un animale per mangiarselo anche un umano può cibarsi di un animale. Qui le obiezioni sono tante. Innanzitutto, noi non siamo leoni (taluni lo sono…..da tastiera), cuciniamo nelle nostre comode cucine e, soprattutto, non siamo esclusivamente carnivori, a differenza del leone che lo è.  A parte che il leone non alleva gazzelle in allevamenti intensivi ma ne rincorre una quando deve sfamare sé e/o i suoi cuccioli. Ma il leone e la gazzella sono sullo stesso piano, a differenza dell’uomo e dell’animale allevato. Non c’è la certezza che il leone catturi la gazzella se questa è velocissima e non si fa raggiungere. E non c’è certezza su chi avrà la meglio tra i due e su chi provocherà dolore. Se la gazzella si farà catturare morirà. Se, al contrario, riuscirà a scamparla, compirà un atto che farà soffrire il leone che non potrà nutrirsi. Quindi, il felino non può scegliere. Ecco la differenza: la scelta.

Noi umani possiamo scegliere con cosa alimentarci.  E  a chi afferma “mangiare animali è una scelta personale” obietto dicendo che una scelta si fa in due. E tra l’umano e l’animale solo uno può scegliere, l’altro subisce. E dove la scelta è asimmetrica c’è una volontà negata.

Jonathan Bazzi, scrittore milanese vegano, di cui consiglio la lettura dei suoi libri(**) afferma: “Di fronte alla scelta vegana gli onnivori si sentono messi in discussione e rifiutano spesso, con violenza, quella discussione. Nel vegano che gli si para davanti vedono un’alternativa connessa a domande di giustizia e compassione, domande che non capiscono o, più semplicemente, sono abituati a non considerare. Domande ingombranti che devono essere eradicate.  

Così partono le battute e le provocazioni al fine di demolire l’esempio destabilizzante ovvero odioso. E ristabilire l’ordine, il regime del così si è sempre fatto. Il cibo è l’ambito in cui le persone si dimostrano più terrorizzate dal cambiamento. E’ anche una questione di immaginario: tutti noi cresciamo, sin da piccoli, nella rimozione del destino degli animali.

C’è un VUOTO tra l’animale non umano, vivo e desideroso di vita e l’alimento che arriva nel piatto. Siamo abituati a separare l’essere senziente dalla polpetta/bistecca/fetta di prosciutto, siamo addestrati a non contemplare i passaggi mortiferi. E non è questione di superiorità morale: i vegani, semplicemente, sono persone che a un certo punto hanno preso atto di cosa c’è in quel VUOTO, in quello spazio occultato. E se ne fanno carico. Agiscono, nel mondo, facendosi portavoce di quegli esseri stipati e brutalizzati, deportati e uccisi. Migliaia, milioni, miliardi di animali mandati a morire ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Esseri che, proprio come noi, sentono il piacere e il dolore, ma che comunicano in un modo diverso dal nostro e che, quindi, possono facilmente essere trattati come materiale inerme, a disposizione. Corpi vivi ridotti a oggetti, cose.

Eppure non c’è possibilità di fraintendere: gli animali vogliono vivere. Scalciano, scappano, si nascondono o tentano di farlo. Fino all’ultimo, fino al loro turno nei mattatoi.

Per molte persone, l’antispecismo è finalizzato solo alla liberazione dell’animale non umano ma l’antispecismo è espressione  di un movimento che include l’intersezionalità. Di questo ne parlerò nel prossimo articolo.

(*) il termine «carnismo» — in opposizione al «veganismo» — è stato coniato dalla psicologa americana Melanie Joy, per indicare quell’invisibile sistema di credenze che condiziona le persone a mangiare certi animali e non altri, e ha fondato la ong Beyond Carnism. 

(**)

Febbre (2019 – finalista Premio Strega) Fandango Libri

Corpi minori (2022 – Mondadori)

1 – Continua

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Un’emozionante fatica……

Sono tornata da New York da poche ore dove, nonostante la frequenti  da 30 anni, ho vissuto nuove ed eccitanti emozioni. New York è proprio questo. Ho incontrato persone interessanti, rivisto vecchi amici, frequentato dei fantastici ristoranti vegani, visitato musei, ascoltato musica. Ho persino incontrato Isa Chandra Moskowitz nel suo ristorante di Brooklyn “Modern Love”, ho fatto due chiacchiere con lei e scattato un paio di foto. Insomma un soggiorno pieno ed eccitante.
Ma l’emozione più grande l’ho vissuta oggi quando ho ricevuto la notizia della stampa del mio libro.
Un’emozione tanto forte l’ho provata il giorno in cui ho ritirato dalla copisteria la mia tesi di laurea e il giorno in cui l’ho discussa. Avevo in tasca la boccetta di fiori di Bach “Rescue” che tenevo come un feticcio. La maneggiavo nervosamente sperando in un effetto anche solo al tatto….
Quando mi è stato proposto dalla casa Editrice Sonda di scrivere un libro di ricette ho pensato, lì per lì, che non sarei stata in grado. Non avevo mai scritto libri salvo, appunto, la tesi e non avrei saputo da che parte iniziare. Fortunatamente mi sono presa un paio di giorni di riflessione, decisivi per la scelta di accettare.
Mi sono ricordata, infatti, le parole di un mio professore universitario che disse a noi studenti  che scrivere una tesi sarebbe stato propedeutico per scrivere qualsiasi libro. Intendeva dire che aiutava ad acquisire un metodo.
Sono passati tanti anni da quei tempi e da quelle parole ma, riaffiorando nella memoria, sono state la spinta ad accettare.
E’ stato un lavoro a quattro mani: le mie due per cucinare di giorno e scrivere i testi a tarda sera/notte e quelle di mio marito Sebastiano per scattare centinaia di foto ai piatti.
La mia cucina è stata per tre mesi un campo di battaglia e il soggiorno un perenne set fotografico. Non ho potuto invitare nessuno per mancanza di spazio vitale, occupato da obiettivi, cavalletti, teli di sfondo, tovaglie e vari accessori.
Il tavolo e il banco della cucina perennemente occupati da ingredienti, attrezzi, accessori di ogni tipo.
I miei assaggiatori privilegiati – i miei nipoti, Tommaso e Andrea –  erano ogni giorno da noi per cercare di sbafare le preparazioni del giorno. Le loro critiche e apprezzamenti mi sono stati di grande aiuto per mettere a punto le versioni definitive delle ricette. Il giudizio dei bambini, candido e spontaneo, è stato essenziale.
Ora attendo i feedback di chi acquisterà ma, soprattutto, utilizzerà il mio libro mettendo in pratica le ricette.
Nella stesura del libro ho cercato di essere essenziale ma completa nelle descrizioni ma, sono disponibile a dare indicazioni se qualcosa risultasse poco chiaro.
Ringrazio fin d’ora chi mi sosterrà.

Ascoltando Dave Matthews e Tim Reynolds che saranno in plug&play a Milano al Teatro Arcimboldi il 7 aprile (abbiamo i biglietti da mesi….. 🙂  )

 

 


Mongolia, terra di nomadi, misteriosa e sperduta….

mongolia-1 mongolia-2

La mia anima è nomade, come i pensieri che scrivo, di getto, currenti calamo. E, aggiungerei, ex abundantia cordis.
Insomma, butto fuori quello che mi passa per la testa, senza troppe riflessioni.
E ora ho in testa un viaggio in Mongolia. É da un bel po’ che ci penso e vorrei che questa idea, questo desiderio si concretizzasse.
Di viaggi in terre poco frequentate ne ho in mente tanti. Resta sempre il sogno di raggiungere l’Isola di Pitcairn. Mi sa che resterà un sogno anche se ogni tanto mi sforzo di immaginarmi su quell’isola sperduta, senza approdi, senza aeroporti, con meno di 50 abitanti, tutti discendenti dagli ammutinati del Bounty.
Ne avevo parlato qui.

La Mongolia è terra di nomadi, popolo generoso e ospitale, terra misteriosa,  dalla natura selvaggia, dagli spazi immensi ma anche ricca di storia e di cultura.
Un grande mondo antico che, al di fuori dalla capitale Ulan Bataar, vive ancora come ai tempi di Gengis Kahn.
Quello che mi affascina è la sensazione di vuoto che evoca in me, di spazio infinito.
Ho bisogno di abbandonarmi a un mondo non superglobalizzato, non occidentalizzato e vittima del consumismo. Affrancarmi, almeno per un po’, da un mondo che ti bombarda di falsi bisogni. E anche se sei forte ogni sollecitazione è un fastidio.

Ho bisogno di riflessione….

L’unica preoccupazione è il cibo. I Mongoli non sono proprio vegani e, ahinoi, nemmeno vegetariani…. A parte la capitale che offre molti ristoranti vegani, tutto il resto è off limits per noi. Dai, non ho paura di tornare in Italia più magra,  mettiamola così.
E ora, ascoltando queste note struggenti, penso a organizzare il viaggio.
Un bel regalo per i nostri 25 anni di matrimonio.

Se qualcuno ci è stato saranno apprezzatissime le indicazioni.

 

 

 

 

 

 

 


Sono una vegana intollerante!

Dunque, ricapitolando…..

“Ma io mangio pochissima carne”

“Io sono un onnivoro convinto e rispetto i vegani. Pretendo lo stesso rispetto”

“Non sopporto i vegani che  mi guardano nel piatto e mi accusano di essere un assassino”

“Non sopporto i vegani integralisti”

“Non sopporto i vegani violenti”

E la lista delle frasi banali, conformiste, insopportabilmente becere, potrebbe continuare.

Io, invece, non ne posso più di chi sputa queste sentenze mentre, nel frattempo, gli animali continuano a crepare, a soffrire, a condurre una vita non dignitosa,  oltre che ridotta rispetto alla loro speranza di vita. Non ne posso più di questi idioti che si fissano sui vegani intolleranti, sui vegani talebani, sui vegani violenti e, per ripicca verso la “categoria”, continuano a nutrirsi di morte anziché focalizzarsi sul reale problema. Sulla distruzione del pianeta, sul dolore inutile e intenso che provocano a delle creature indifese.

No, non sono tollerante. Non uso violenza né verbale né tantomeno fisica, non punto il dito e non auguro la morte a nessuno.

Mi limito a fare la mia parte. Continuerò a essere vegana etica e – a volte in silenzio che, spesso, é più eloquente delle parole –  privare di ogni stima chi  alimenta la crudeltà anche in una sola forma: mangiando animali e derivati, vestendosi con prodotti animali, andando al circo, allo zoo, nei delfinari, negli acquari e/o portarci i bambini.

Perché non ci sono più scuse e gli animali non possono aspettare ancora.

 

Ascoltando Nina Simone in My way 


Il tempo che mi resta….

E’ da tempo che mi soffermo a pensare, non senza una certa inquietudine e paura, al tempo che mi resta da vivere. Al poco tempo, aggiungerei. Al poco tempo in salute e indipendenza aggiungerei ulteriormente.
Ho toccato con mano la lunga malattia e la sofferenza di mia madre, per quattro anni totalmente dipendente. In tutto e per tutto. Dipendente dai farmaci, dai parenti, dalla badante, dagli ausili e dai presidi più sofisticati e tecnologici (il deambulatore, il sollevatore elettrico, il materasso antidecubito, la sedia a rotelle), vittima della malattia che la affliggeva. Creatura totalmente indifesa e vulnerabile.
Ripensando a quegli anni disperati, alla sua dignità  perduta –  e che solo la morte le ha restituito – all’annientamento del sé, sono arrivata alla conclusione che sarò io a decidere quando andarmene.
Il dilemma non è il quando ma il come…..
Vivere significa essere felici ma anche essere tristi, avere delle relazioni o decidere di sospenderle, prendere delle decisioni, discutere dialetticamente, amare, desiderare, essere infastiditi, aver voglia di leggere, di andare a un concerto, di decidere cosa mettere nella borsa della spesa, cosa cucinare, come vestirsi, dove fare le vacanze, chi frequentare o chi non frequentare, chi mandare a quel paese e tanto altro ancora.
Mia madre per quattro lunghi anni non è stata in grado di fare nulla di tutto questo, nemmeno le cose più elementari.
Io me ne voglio andare il giorno in cui avrò la percezione che una sola cosa che ho fatto fino a quel momento non sarò più in grado di farla.

Ora ascolto, abbandonando i pensieri, Sonny Rollins in My One and only Love


Nel segreto di un silenzio…

E’ da un po’ che non mi isolo in questa stanza, che non scrivo. L’occasione me l’ha data la chiassosa e populista piazza di FB intorno al caso Vendola e alla maternità surrogata.
Questa accanita crociata dei pro e dei contro mi ha disgustata e mi ha fatto sentire un gran bisogno di silenzio, di una pausa, di un allontanamento.
Giorni e giorni che la gente non pensa ad altro e non pubblica altro e son sempre gli stessi, (ma non hanno un lavoro, una famiglia, degli interessi, desiderio di oziare o  il loro mondo è limitato a sputare sentenze cercando visibilità su FB perché nessun altro li ascolterebbe?)-
Mai visto tanto accanimento, tanta incontinenza verbale su un unico tema…. Pubblicazione di link, di video, di articoli, di post, di like messi a vanvera, di commenti volgari, di parolacce, di confronti senza capo né coda e  chi più ne ha più ne metta.
Non è importante sapere come la pensi rispetto all’utero in affitto ma voglio soddisfare i curiosi.
Sono contraria, ritengo sia una mercificazione del corpo umano, ha un costo emotivo altissimo, è puro business (per le cliniche e per i medici in primis), non dignitosa per il neonato, è sempre un enigma, una rivoluzione antropologica. La penso come il filosofo Massimo Cacciari, uomo laico, di sinistra, di innegabile cultura.

Da Wikipedia: Richiesta dell’abolizione universale della surrogazione di maternità
Nel febbraio del 2016 si è tenuto a Parigi un convegno per l’abolizione universale della surrogazione di maternità organizzato dalle associazioni femministe francesi e patrocinato dal parlamento transalpino, al quale hanno aderito ricercatrici, giuriste, medici, attiviste e attivisti per i diritti umani di tutto il mondo .[17] A conclusione dei lavori dell’assemblea è stata formulata la richiesta formale perché la pratica della maternità surrogata venga proibita e resa illegale in tutto il mondo [18] in quanto ritenuta “disumanizzante” e contraria alla dignità e ai diritti delle donne e dei neonati [19]
Non aggiungo altro, ho bisogno di silenzio, di musica e di un viaggio (preferibilmente a New York).

Ascoltando Aretha Franklin – Respect

 


Riflessioni spicciole

 

Immagine dal web

Immagine dal web

Giorni fa, passeggiando con la Joy, nel magnifico parco di fronte a casa mia (che aiuta a raccogliere i pensieri e le idee) riflettevo sul fastidio che mi provoca un certo utilizzo dei quattrini.
Posto che ognuno dei propri quattrini fa ciò che vuole, mi sono immaginata un elenco di spese urtanti che esorterei a evitare.

Di converso, pensavo alla lista contraria, quella virtuosa, quella da non evitare.
Quindi, semaforo ROSSO per la lista da evitare e semaforo VERDE per quella da caldeggiare.
L’ordine è casuale.

SEMAFORO ROSSO al denaro mal speso per:
1) crociere
2) villaggi turistici
3) sigarette e droghe
4) superalcolici
5) ristoranti banali
6) autovetture status symbol
7) multe
8) palestra
9) abbigliamento firmato
10) circo
11) acquisto animali
12) cibo spazzatura
13) profumi
14) fiori recisi
15) schermi TV esagerati

SEMAFORO VERDE al denaro ben speso per:

1) viaggi
2) libri e CD
3) spettacoli (concerti, cinema, teatro)
4) formazione
5) visite a musei, mostre
6) adozioni
7) volontariato e beneficenza
8) cibo di qualità
9) hobby
10) attrezzi da cucina per autoprodurre

 

La lista può allungarsi. Attendo contributi! 🙂

 

E ora ascolto un GRANDE STREPITOSISSIMO Dave Matthews dal vivo @Gorge 2011 in Big eyed fish

PS: Per la musica di DMB (Dave Matthews Band) i soldi sono spesi bene, anzi benissimo!!   🙂


Addio, compagno d’avventure….

Vulcano1
S
ono un fiume in piena…..altro che sindrome da foglio bianco palesata nel post precedente!
Ho l’angoscia del distacco che mi dà la carica, quell’incontinenza verbale tipica di chi ha bisogno di sfogarsi per liberarsi di un tormento, sperando che si plachi.
Ieri ho venduto Vulcano III, la mia amatissima moto, la mia DUCATI S2R 800 cc, compagno di tante avventure.
Sì, perché Vulcano III, la mia terza DUCATI è, anzi era un maschio molto  particolare,  sempre sottomesso e  pronto a ubbidirmi.
Non proprio come un vulcano vero ma, come questo, incuteva timore con il suo rombo potente, l’aspetto aggressivo, il colore nero, il piglio nervoso.
Vulcano3
Mai geloso, mai sospettoso, mai invadente, sempre disponibile a lasciarsi andare con me.

Non ho scelto io di tradirlo, di abbandonarlo. La congiuntura negativa di questo periodo ha scelto per me.
Ed è questo che mi fa più male.
Ho percorso migliaia di chilometri, con l’aria sul viso, con il freddo, il caldo, la pioggia, la nebbia, il traffico, il deserto, l’odore acre dell’asfalto.
Ho vissuto e assaporato ogni spazio, lunghe strade, curve a gomito, tornanti da paura, autostrade fastidiose, rettilinei noiosi, panorami mozzafiato, impossibili da cogliere se sei in macchina, anche da passeggero.
Ho conosciuto tanti motociclisti e motocicliste in questi lunghi anni, persone strane, simpatiche, un po’ matte.
Ho frequentato e organizzato raduni, incontri, pizzate….motorizzate.

La frenata potente del mio Vulcano III mi ha fatto  schivare automobilisti indisciplinati (anche se ho avuto due incidenti per colpa loro e mi sono spalmata sull’asfalto), ciclisti selvaggi (li detesto), pedoni distratti, motociclisti egocentrici e pericolosi, scooteristi arroganti.
Ma anche altri generi di veicoli guidati da cialtroni.

Ora non mi manca Vulcano III come mezzo di trasporto perché la moto non è, o non è solo, un mezzo di trasporto.
E’ uno stile di vita, dissacrante, rivoluzionario e magico.
Mi manchi Vulcano III…. Chissà, se un giorno, passata questa crisi economica lacerante, potrò ancora cavalcare una fiammante DUCATI.
Perché io sono una ducatista!

Dedico a Vulcano III un pezzo di Jovanotti “La mia moto


La sindrome del foglio bianco

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E’ da un po’ che non scrivo come se la sindrome del foglio bianco mi colpisse con attacchi incoercibili e frequenti ricadute. E i pensieri si svuotano.
Tra tre giorni parto per gli Stati Uniti e vorrei documentare questo viaggio – che già prevedo interessante ed emozionante –  con reportages fotografici e aneddoti.
Spero di riempire il foglio bianco…
Per ora ascolto un bel blues: John Lee Hooker in Blues Before Sunrise


Rieccomi…..con i Waffle al mais!!

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Rieccomi, dopo un periodo di intenso lavoro (matto e disperatissimo….)  ma anche di  impareggiabili soddisfazioni e gratificazioni.
Finalmente riesco a tirare un po’ il fiato e a soddisfare le numerose richieste dei molti ospiti del B&B – ma non solo – che mi hanno chiesto la ricetta dei waffle.
I waffle sono uno dei piattini caldi, serviti a colazione, che quotidianamente si avvicendano, al mio B&B, come  extrabuffet.
Si alternano con pancake, minidonut, crespelle….
La ricetta è tratta da uno dei miei libri preferiti: “Vegan brunch” di Isa Chandra Moskowitz.
Questa ricetta la dedico ad Alessandra, una deliziosa ragazzina che è stata ospite del B&B con i suoi genitori, altrettanto deliziosi.
Non potrò dimenticare la sua spontaneità nell’esclamare, dopo aver visto il piatto con il suo waffle: “Li adoro!”

Naturalmente per realizzare i waffle è necessario disporre del fattapposta….
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Ingredienti (per 6-7 waffle):
2 cup (*) di latte vegetale a scelta (io uso riso o mandorla autoprodotto)
1 teaspoon aceto di mele
1 cup e mezza di farina di mais fioretto (quella impalpabile)
1 cup farina, a scelta (io uso la zero ma anche integrale bio)
1 tablespoon(*) lievito per dolci (io uso polvere lievitante per dolci Baule Volante)
1/4 cup zucchero (io uso quello di canna)
1/4 cup olio di mais o girasole (la ricetta americana parla di canola oil)
1/2 teaspoon (*) di sale
Frutta fresca di stagione per guarnire
Sciroppo d’acero

(*) non è un vezzo nè un esterofilia (come mi hanno fatto più volte notare) non tradurre “cup” in “tazza” o “teaspoon” in “cucchiaino”. Le cup  e i teaspoon o i tablespoon sono vere e proprie misure di capacità.  L’alternativa sarebbe quella di scrivere il peso degli ingredienti ma, in questo caso, non li ho mai pesati…. Perdono!!

Procedimento:
Versare il latte in una ciotola e aggiungervi l’aceto di mele.
Lasciarlo da parte una decina di minuti  in modo che cagli un pochino (avverto che non caglia molto ma non importa).
In un grande recipiente versare tutti gli altri ingredienti secchi  (farina di mais, farina, polvere lievitante, sale e zucchero).
Aggiungere il latte – che si era lasciato da parte – e l’olio.
Mescolare bene con la frusta per evitare grumi.
Ungere leggermente con il pennello la piastra elettrica dei waffle e, quando è al massimo calore (nella mia si accende una spia), versare una dose di impasto in entrambe le “cavità”.
Abbassare la piastra e attendere 5 minuti (o secondo le istruzioni del costruttore).
Guarnire con frutta fresca e sciroppo d’acero!
Sto ascoltando uno dei pezzi di Dave Matthews Band che amo di più in assoluto, “Bartender” .
Mi ricorda di quando vivevo a New York, uno dei periodi più intensi ed elettrizzanti della mia vita anche se non il più facile e di quando frequentavo il bar The Bean, vicino a casa (ne ho scritto qui) e mi tuffavo nelle strepitose torte vegan!!!!

E poi oggi è il dodicesimo anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle. Never forget 9/11!!  A dieci anni dalla tragedia ero a New York. Ne ho scritto qui.