Lettera a un professore

Egregio Professore di Matematica e Fisica,

ha interpretato alla lettera l’esortazione del Ministro dell’Istruzione (e del Merito…SIC) all‘umiliazione, valutando mio nipote, 17 anni, quarta Liceo Statale, in due verifiche rispettivamente di matematica e fisica con un voto che credo non sia nemmeno contemplato nelle valutazioni ministeriali: 1+ (UNO PIU?)!!

Mio nipote  non si ammazza di studio matto e disperatissimo – per dirla con il Leopardi – fa il minimo sindacale e, a volte, nemmeno quello. 

Ma lei non è autorizzato a umiliarlo, a mortificarlo dandogli quel voto ridicolo ( 1+) che, se qualifica negativamente la verifica di mio nipote perché ha studiato poco e male, qualifica anche lei come un educatore omologato, anzi, direi un insegnante bullo. Lei si dimostra come un docente che si limita a erudire, a snocciolare nozioni come le giaculatorie, a svolgere la mansione di impiegato statale e non di educatore che include e non lascia indietro nessuno.

Sì, perché valutare con 1+ una verifica, ancorché negativa, significa che il primo errore l’ha commesso lei. E poi, che significa quel + accanto a un voto come UNO?  Perché ha scritto bene il suo nome e cognome e la data?

Vorrebbe infliggergli lavori socialmente utili come ha esortato il Ministro?

Il compito dell’educatore è, appunto educare, non addestrare, è rendere liberi e capaci all’autodeterminazione, all’autocritica.

Educare deriva dal latino educěre, cioè trarre fuori, tirar fuori ciò che sta dentro. Non solo inserire. E questo vale per tutte le discipline, matematica e fisica comprese.

Lei, caro Professore, considera la scuola una catena di montaggio, che tratta tutti con eguaglianza, allo stesso modo. La scuola deve trattare con equità, non con eguaglianza perché un individuo non è uguale a un altro. La scuola è il luogo in cui ogni studente dovrebbe avere gli strumenti per trovare la sua strada. La scuola deve incuriosire, aiutare a scoprire il proprio talento, le proprie ispirazioni. Perché la scuola deve ispirare.

Mio nipote è uno studente atleta (Status previsto dal Ministero dell’Istruzione….e del Merito), ha una passione, quella del calcio perché quando ha iniziato a fare sport, come quasi tutti i bambini, ha trovato un allenatore-educatore che è stato in grado di trasmettergli una passione. Ecco, la passione allo studio e al sapere che  non sono in grado di trasmettere i professori come lei.

Mio nipote è un ragazzo solido, sereno e gioioso, anche grazie allo sport, e grazie alla sua famiglia che lo incoraggia, lo segue e lo stimola. Ma quanti ragazzi meno forti di lui cadono in depressione, soffrono di disturbi alimentari, si sentono dei falliti e abbandonano la scuola finendo in mezzo alla strada?

Sono certa che lei, a sua volta, non ha avuto insegnanti in grado di trasmetterle quei valori fondamentali che ogni educatore dovrebbe possedere per trasmetterli. Lei non è stato ispirato durante i suoi anni di scuola. Perché solo chi è ispirato può ispirare. Questo a sua parziale discolpa. Molto parziale….

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JOY

Joy…qui era già volata via
Cocco e Noce con Joy

Piccola Joy, te ne sei andata in pochi giorni, lasciandoci sgomenti e turbati, con il cuore pieno di dolore. Dopo dieci anni di vita insieme, momento dopo momento senza mai lasciarti, da quel lontano 6 aprile 2012 quando Ester, la volontaria dell’associazione icanisciolti.com – la zia Ester – ti ha portata nella nostra casa. Qui e qui i racconti di quei favolosi ed emozionanti giorni.

Il 5 maggio sei volata via – sono già tre mesi – e solo ora riesco a raccontare. Negli ultimi giorni hai sopportato dolori atroci e manovre mediche fastidiose e invasive senza mai un lamento. Pochi giorni di malattia, le corse al pronto soccorso in piena notte, la terapia intensiva, l’inappetenza.

Amavi tanto la ricotta di mandorle (tradiva le tue origini avolesi …) e te la preparavo per darti un po’ di nutrimento. Niente, non aprivi più nemmeno la bocca. Gli ultimi giorni eri solo sdraiata sul pavimento, le zampe non reggevano più.

Ti abbiamo adottata per darti amore, amore incondizionato, per tutta la vita. Dopo due anni di abbandono e trascuratezza per le strade di Avola, forse affamata, impaurita, disperata. Finché Rosa non ti ha salvata e tenuta in stallo per mesi, ad Avola. Finché il destino non ti ha portata nella nostra famiglia.

I nostri nipoti ti adoravano e anche i loro due gatti ti avevano accolta senza fare troppa resistenza, se non all’inizio, giusto il tempo di studiarvi.

Con i sassi di Avola

Per te abbiamo modificato le nostre abitudini, i nostri orari, perfino certe frequentazioni. Con gioia. Volevamo risarcirti di tutto quello che l’animale umano ti aveva tolto nei tuoi primi due anni di vita ad Avola. Volevamo risarcirti dell’affetto che ti è mancato, dell’abbandono, della trascuratezza, degli stenti che hai patito.

Ora siamo persi, siamo più soli, i nostri orari sono, inevitabilmente, ancora cambiati. Non riusciamo più ad andare al parco dove scodinzolavi felice e avevi tanti amici. Noi dicevamo che con la coda “pennellavi l’aria”. Avevi un’andatura elegante, sinuosa, aristocratica.

A luglio siamo stati in Sicilia, ad Avola, per vedere i luoghi dove eri nata e per incontrare Rosa, la volontaria che ti ha tolta da una brutta situazione. E’ stato un incontro molto emozionante e affettuoso. E lei ci ha parlato di te. Non ci stancavamo di ascoltarla.

Ma tu manchi, mancherai sempre. Sempre. Nessun altro cagnolino – se in futuro lo adotteremo – colmerà il vuoto che hai lasciato.

Grazie per quello che ci hai dato, per la compagnia che ci hai fatto, per le risate che ci hai suscitato con certe tue pose buffe, per l’amore che ci hai trasmesso. E anche per la pigrizia che ci hai fatto superare in momenti in cui non avevamo voglia di uscire – per la pioggia, il freddo, il caldo, la neve – ma dovevamo farlo per te, per la passeggiata, per i bisogni, per farti muovere ed esplorare. Annusavi tantissimo, per fare 20 metri impiegavamo un quarto d’ora perché ogni centimetro lo volevi annusare, setacciare. Com’eri buffa.

Grazie per la gratitudine che ci hai dimostrato. Noi l’abbiamo capito che eri grata per averti dato una vita bella, gioiosa, dignitosa, amorevole. Ma non ci dovevi proprio niente.

L’unica cosa che ci dovevi e che ci devi è il tuo perdono per aver subito, dai nostri simili, tremende ingiustizie.


Una voce autorevole ha detto di noi

Ascoltando Coleman Hawkins e il suo sax…

Con rinnovata commozione ripropongo un articolo che Grazia Cacciola, raffinata autrice, giornalista e blogger di erbaviola.com, ha scritto di noi. Se aggiungessi parole rischierei di rovinare tutto.

I ringraziamenti devono essere urlati! E io sto urlando: GRAZIE!!

La Casota Vegan, la scelta d’amore di Titti e Seb

La Casota Vegan, la scelta d’amore di Titti e Seb

Alcuni dei miei lettori conoscono già Titti, sia per sentieri che si incrociano online sia perché tempo fa abbiamo organizzato un’edizione del corso Cambio vita, mi reinvento proprio alla Casota. In quell’occasione io diedi due avvisi ai partecipanti prima che arrivassero: attenzione che con la colazione di Titti si va via rotolando, è tutto buonissimo, e… guardate Titti e Sebastiano perché loro hanno fatto davvero tanti cambiamenti e realizzato questo B&B lasciando un lavoro da dipendenti.


La stabilità è la condizione migliore. Anzi no.

Primo episodio (ascoltando John Coltrane in “My Favorite Things)

Un tempo – molti anni fa – per far fronte a una serie di ineluttabili responsabilità familiari, vedevo nella stabilità – soprattutto economica ma anche logistica – la soluzione ai problemi che erano diventati una costante ossessione.
La soluzione che mi avrebbe fatto trovare la luce dopo lunghi periodi di buio dovuto all’incertezza, ritenevo fosse il posto fisso e una casa di proprietà. La stabilità assoluta. La beatitudine.
Quando dopo anni raggiunsi le desiderate condizioni, inseguite per molto tempo, la nube nera e tossica che mi perseguitava, si dissolse magicamente. Finalmente riuscivo a pianificare la mia vita, fare progetti, fare acquisti, viaggiare. Mi sentivo invincibile e appagata.
E così fu per anni.
Finché, quasi all’impovvso, la nuvola tossica che mi aveva tormentato per l’instabilità, ormai alle mie spalle da tempo, cominciò a farsi sentire ancora. Qual era il problema? La stabilità, che vivevo come una gabbia.
Tutto mi stava stretto e insopportabile: gli avvenimenti – sempre gli stessi – con la stessa ricorrenza, sempre uguali a partire dalla sveglia al mattino, il badge da timbrare, la ricerca delle chiavi (lasciate in posti diversi), le riunioni, le pause, il ritorno a casa, ecc. ecc.

L’unico guizzo, come una boccata di ossigeno, era l’organizzazione faidate delle vacanze con mio marito, sempre low-cost, in luoghi lontani e affascinanti per cultura e natura. Finite le vacanze, sempre lunghe ma mai abbastanza, il rientro alla quotidianità era come un pugno nello stomaco, sempre più insopportabile.
Un giorno, dopo mesi di riflessioni e un anno sabbatico trascorso in buona parte a New York, ero certa che l’unica soluzione possibile fosse quella di ritrovare la libertà liberandomi dai guinzagli cui sono stata costretta per anni. Come? Dando le dimissioni dal posto fisso e uscire dalla gabbia. La libertà valeva più di qualunque altra condizione, anche della sicurezza economica.
Volevo lavorare con mio marito in assoluta autonomia e leggerezza. Fu così che nacque l’idea di aprire un B&B nella casa dei miei nonni, sul Lago di Garda. Ovviamente vegano, come noi.

Ma ora, con mio marito, ci sono altri progetti in cantiere….

Continua….



La vita è troppo breve….

….. per non viverla a tempo pieno, intensamente e facendo cose che piacciono, che lasciano un segno forte e positivo, che danno un senso alla vita, all’idea di non averla sprecata ma vissuta attimo per attimo, in profondità.
Ho un’inarrestabile voglia di fare progetti, di reinventarmi, di pensare al futuro anche se il mio futuro è minimo rispetto al passato, al tempo vissuto. Ma dovessi vivere anche solo un giorno, non vorrei sprecarlo.

Ho fatto scelte coraggiose – per alcuni imprudenti e dissennate – come quella di licenziarmi dal posto fisso, garantito, sicuro, intoccabile. Ne parlo qui.

Per fare cosa? Per realizzare un sogno che conservavo da anni: quello di lavorare con mio marito.

Stanca della routine di lavoro ma anche di alcune storture e compromessi che non volevo accettare né subire, ho deciso di ridare vita alla casa dei miei nonni e aprire un B&B vegan. Finalmente libera da vincoli, senza servi e senza padroni.
E’ stata – e per il momento lo è ancora – un’avventura meravigliosa anche se molto impegnativa.
Purtroppo la situazione sanitaria mondiale, incerta e drammatica, ha reso tutto più difficile e complicato dove non è più possibile fare programmi lavorativi e tutto è destabilizzato.

E’ giunta, quindi, l’ora, di pensare e concretizzare nuovi progetti o progetti accantonati e assopiti.

Per ora ascolto “Sì viaggiare” di Lucio Battisti. 🙂



Sull’amicizia

Immagine da Internet

Parlando di amicizia, credo che il pensiero corra, impropriamente, ai Social. Il termine amicizia ha un significato profondo maldestramente ridotto alla banalità dell’uso quotidiano. Purtroppo la rete pullula di Social, nati per soddisfare l’ossessivo desiderio di comunicare e condividere, spesso in modo dissennato.
Si pubblicano foto, spesso di scarsa qualità, in modo compulsivo, si raccontano episodi tragicomici della propria vita, spesso romanzati ma verosimili, che interessano solo a chi li scrive anche se chi li legge lascia commenti affettuosi, positivi, il più delle volte falsi.

Oggi avendo a portata di mano la facile possibilità di comunicare al mondo in ogni momento, non ha che reso il livello dei contenuti estremamente basso. Si comunicano banalità, insulsaggini, fiacchi tentativi di varia mediocrità.

Sempre connessi, sempre pronti con i polpastrelli a picchiare su una tastiera, in modo maniacale, compulsivo.

Oggi quello che conta è il numero degli amici o, meglio, dei follower ed è una gara a chi ne ha di più. Se ne hai poche decine sei uno sfigato.

Io ho una gran voglia di amici veri, ho voglia di liberare l’anima e aprire i rubinetti del pensiero con chi mi ascolta con autentico interesse e affetto. Ho bisogno di coinvolgimento sincero da parte delle persone che amo non da parte di sconosciuti sempre connessi.

E ora ascolto McCoy Tyner, ricordandomi di quando, a New York, lo ascoltai dal vivo al Blue Note. E ancora oggi un brivido mi corre lungo la schiena.





Ho fretta…

Devo ringraziare Gilda – un’amica fortunatamente ritrovata, dopo qualche anno – che qualche giorno fa mi ha inviato questa poesia. Le sono infinitamente grata e le rinnovo il mio affetto crescente e il mio affettuoso e costante pensiero.
Nessun altro, meglio di Mario de Andrade, poteva esprimere l’inquietudine e il tormento di chi vede il tempo fuggire. Ho fretta, non ho tempo da perdere. Mi restano poche caramelle…

LA MIA ANIMA HA FRETTA

Ho contato i miei anni ed ho scoperto che ho meno tempo da vivere da qui in avanti di quanto non ne abbia già vissuto.
Mi sento come quel bambino che ha vinto una confezione di caramelle e le prime le ha mangiate velocemente, ma quando si è accorto che ne rimanevano poche ha iniziato ad assaporarle con calma.
Ormai non ho tempo per riunioni interminabili, dove si discute di statuti, norme, procedure e regole interne, sapendo che non si combinerà niente.
Ormai non ho tempo per sopportare persone assurde che nonostante la loro età anagrafica, non sono cresciute.
Ormai non ho tempo per trattare con la mediocrità.

Non voglio esserci in riunioni dove sfilano persone gonfie di ego.
Non tollero i manipolatori e gli opportunisti.

Mi danno fastidio gli invidiosi, che cercano di screditare quelli più capaci, per appropriarsi dei loro posti, talenti e risultati.
Odio, se mi capita di assistere, i difetti che genera la lotta per un incarico maestoso. Le persone non discutono di contenuti, a malapena dei titoli.
Il mio tempo è troppo scarso per discutere di titoli.
Voglio l’essenza, la mia anima ha fretta…
Senza troppe caramelle nella confezione…
Voglio vivere accanto a della gente umana, molto umana.
Che sappia sorridere dei propri errori.
Che non si gonfi di vittorie.
Che non si consideri eletta, prima ancora di esserlo.
Che non sfugga alle proprie responsabilità.
Che difenda la dignità umana e che desideri soltanto essere dalla parte della verità e l’onestà.
L’essenziale è ciò che fa sì che la vita valga la pena di essere vissuta.
Voglio circondarmi di gente che sappia arrivare al cuore delle persone…
Gente alla quale i duri colpi della vita, hanno insegnato a crescere con sottili tocchi nell’anima.
Sì… ho fretta… di vivere con intensità, che solo la maturità mi può dare.
Pretendo di non sprecare nemmeno una caramella di quelle che mi rimangono.
Sono sicuro che saranno più squisite di quelle che ho mangiato finora.
Il mio obiettivo è arrivare alla fine soddisfatto e in pace con i miei cari e con la mia coscienza.

Mario de Andrade – poeta brasiliano 1893 – 1945


Soundtrack: John Coltrane “My favorite things”


Abbracciando la luna

 

Nel segreto del silenzio e nelle fusa della notte guardo la luna e cerco di abbracciarla mentre mi sussurra che non esistono ingiustizie .

Luna bugiarda.

Notte insonne, la mente è alimentata da pensieri confusi mentre ascolto

Dave Matthews Band in You and Me

 

 


Giocare con le parole, giocare con Milano

Ascoltando Sonny Rollins in Freedom suite, penso a quanto mi sia sempre divertita a giocare con le parole, con gli anagrammi, i palindromi e tutto quanto la nostra bella lingua ci offre. Ultimamente mi diverto a creare acronimi da parole che non sono acronimi in sé ma sono nomi o termini a senso compiuto. Una dozzina di anni fa scopersi che l’anagramma, anzi, gli anagrammi del mio cognome erano Libertà e Tribale. Una scoperta sbalorditiva e calzante.

Se Milano, la mia città, fosse un acronimo, che parole celerebbe dietro quelle iniziali?

M

troppo facile e ovvio: Madonnina! Ma Milano è anche

Misteriosa, Malinconica, Moderna, Multicultrale , Musicale, Modaiola

I

Innovativa, Internazionale, Inclusiva, Interessante, Intraprendente

L

Liquorosa, Liberale

A

Accogliente, Avveniristica, Affabile, Autonoma, Antica, Artistica

N

Nuova, Navigabile (Naviglio), Narcisista, Naif

O

Ordinata, Organizzata, Operosa


Rieccomi, con la recensione di un bel libro

E’ da più di un anno che non scrivo e, a dire il vero, avevo deciso di abbandonare del tutto questo blog perché calamitata dall’arena dei social, più immediati, più fruibili e più semplici da utilizzare.

Ma ora vorrei riprendere a scrivere qui dove mi sento meno esposta, più protetta, più in silenzio. E inizio con la recensione di un libro. L’autore, Roberto Curatolo mi aveva già concesso gentilmente un’intervista. (La trovate qui ).

Consiglio la lettura di questo romanzo, che si legge d’un fiato, perché  è terapeutico e, in talune descrizioni, chiunque può ritrovarsi e riconoscersi riuscendo a capire i meccanismi della mente e dell’animo umani.

Il romanzo narra di Katia Rinero, cantante dalla bellissima voce – unico suo tesoro – che, negli anni ’60, raggiunge un notevole successo, come solista prima e con il gruppo dei Navigators in tempi successivi,  per poi vivere lunghi periodi di buio, solitudine e tormento anche per la necessità delle case discografiche, di proporre nuove voci e nuove modalità espressive.

Proprio in quegli anni si era soliti, per  distinguere le voci femminili, focalizzare una caratteristica particolare. Katia venne chiamata “Il ghepardo della Lunigiana” per la sua femminilità un po’ aggressiva e la sua voce graffiante. Donna impetuosa, impulsiva e senza filtri, sboccata, dal temperamento genuino e schietto, Katia è continuamente alla ricerca  della serenità e dell’amore e, nonostante si affanni a cercarli,  non li troverà mai, se non per brevi illusori momenti. 

E nemmeno le sfibranti sedute dallo psicoterapeuta, per cercare di leggere e decifrare i suoi tormenti e la sua infelicità, le saranno d’aiuto.

I tormenti di Katia risalgono in gran parte al rapporto con i genitori,  dapprima mal tollerati fino a provare per loro un’ affettuosa indulgenza.

Non trova serenità nemmeno nei troppo brevi e occasionali successi di qualche ribalta  nelle modeste sagre di paese o nelle balere, non lo trova nelle relazioni tormentate con uomini di scarso profilo umano che si avvicendano come Dimitri, uomo insolente o  Flavio, uomo incapace o Walter, figura dai modi rustici ma, almeno,  propositivo.

Non lo trova nemmeno nei due amatissimi figli, fortemente desiderati.

Sullo sfondo, la storia della musica degli anni sessanta e settanta  e del boom economico.

Roberto Curatolo, con la sua solida architettura narrativa,  ha saputo scandagliare l’animo femminile, descrivendo in modo lieve  e affascinante gli umani tormenti, creando nel lettore una forte empatia e stimolando il coinvolgimento. Sa analizzare i sentimenti più profondi, sa nutrire l’anima con  descrizioni precise e coinvolgenti.

Ascoltando Stan Getz “Serenity”