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Antispecismo intersezionale

specismo (Treccani) = s. m. Convinzione secondo cui gli esseri umani sono superiori per status e valore agli altri animali e, pertanto, devono godere di maggiori diritti.

L’antispecsimo sostiene che la capacità di sentire ( provare sofferenza, piacere, esprimere volontà o interagire) non siano privilegi della specie umana.

L’antispecismo si collega ad altri movimenti di liberazione per annientare le dinamiche di potere sottolineando come tutte le discriminazioni sono simili e collegate, cioè intersezionali.

Fu la docente e attivista afroamericana Kimberlé Crenshaw a introdurre nel 1989 il concetto di intersezionalità come ipotesi sociologica, analizzando le condizioni delle donne nere in riferimento alle leggi antidiscriminatorie, al femminismo e alla politica anti-razzista. Affermò che le condizioni di oppressione venivano prese in esame come sezioni disgiunte tra loro senza, quindi, tenere conto del modo in cui queste sezioni potessero interagire tra loro.

L’intersezionalità è uno strumento di lotta attiva, un impegno contro ogni tipo di violenza, sopruso, sottomissione e discriminazione perché le discriminazioni sono simili e collegate e, spesso, istituzionalizzate e sistemiche.

L’intersezionalità teorizza e osserva come varie categorie, le sezioni, interagiscono a molti livelli, talvolta contemporaneamente: il genere, l’etnia, la disabilità, l’orientamento sessuale, la religione, l’età, la nazionalità, la specie. Di conseguenza e, direi, necessariamente, è opportuno pensare a ogni elemento legato agli altri per comprendere il suo significato sociale.

Tutti i pregiudizi basati sull’intolleranza (razzismo, xenofobia, omotransfobia, abilismo, sessismo, ageismo, specismo) non sono indipendenti bensì fortemente correlati creando un sistema oppressivo che evidenzia l’intersezione di molteplici forme di discriminazione.

Specularmente, la lotta contro le oppressioni deve essere altrettanto comprensiva, intersezionale, appunto.

Foto di Angela Davis dal web

A proposito di antispecismo non posso non citare Angela Davis, ben nota per le sue prospettive progressiste su razza, genere e classe (che le sono costate anni di galera) e meno nota per le sue opinioni sulla specie, assai lungimiranti.

Angela Davis alla Ventisettesima conferenza delle Donne afroamericane, all’università di Berkeley, in California, nel 2012 durante una conversazione con la scrittrice, filosofa e femminista Grace Lee Boggs, affermava (mia traduzione di uno stralcio della trascrizione della conversazione dal sito radioproject.org):

Nella foto (dal sito radioproject.org), Grace Lee Boggs (con il microfono) e Angela Davis durante la conversazione

Di solito non dico che sono vegana, ma la prospettiva si è evoluta… Penso che sia il momento giusto per parlarne perché fa parte di una più ampia prospettiva rivoluzionaria: possiamo non solo scoprire relazioni più compassionevoli con gli esseri umani, ma possiamo anche sviluppare relazioni compassionevoli con le altre creature con cui condividiamo questo pianeta e ciò significherebbe sfidare l’intera forma industriale capitalista di produzione alimentare.

La maggior parte delle persone non pensa al fatto che sta mangiando animali. Quando mangia una bistecca o il pollo, la maggior parte delle persone non pensa alla tremenda sofferenza che quegli animali sopportano semplicemente per diventare prodotti alimentari destinati agli esseri umani. Penso che la mancanza di un impegno critico nei confronti del cibo che mangiamo dimostri fino a che punto la forma merce è diventata il modo principale in cui percepiamo il mondo.

Ancora oggi non andiamo oltre ciò che Marx chiamava il valore di scambio dell’oggetto reale – non pensiamo alle relazioni che quell’oggetto incarna ed erano importanti per la produzione di quell’oggetto – sia che si tratti del nostro cibo o dei nostri vestiti o del nostro Ipad o tutti i materiali che usiamo per acquisire un’istruzione in un istituto come questo. Sarebbe davvero rivoluzionario sviluppare l’abitudine di immaginare le relazioni umane e non umane dietro tutti gli oggetti che costituiscono il nostro ambiente.

Lottare contro ogni forma di sfruttamento nella filiera della produzione del cibo implica il rendersi testimoni, e non più complici, della crudeltà verso gli animali. Esserne coscienti significa capire che ogni camion pieno di animali che incontriamo sulle strade non è in un viaggio di piacere ma porta questi animali al mattatoio dove saranno uccisi e macellati. La maggior parte della gente non si rende conto di mangiare degli animali nè si rende conto dell’enorme sofferenza che questo cibo contiene. È lo stesso problema cognitivo del razzismo e del sessismo.”

Sono convinta che questo approccio antispecista intersezionale possa gettare le basi per giungere insieme, umani e non umani, alla Liberazione Totale.

Voglio concludere con due bellissime canzoni dedicate ad Angela Davis

da John Lennon “Angela”

https://www.youtube.com/watch?v=8GLX64pmik8

dai Rolling Stones ” Sweet Black Angel”

https://www.youtube.com/watch?v=Cwekn8dDxCo

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Un vuoto da riempire

sei un’estremista” – “anch’io amo gli animali” – “e se fossi su un’isola deserta? ” – “mangiare vegano costa” – “non ho tempo”

“e non pensi ai bambini che muoiono di fame, alle donne violentate, agli anziani ai disabili?”

“odio tutte le dittature ideologiche  che spesso mascherano altre problematiche” 

“ritengo che ognuno debba maturare le proprie scelte senza sentirsi dare del boia. “

“Sull’urgenza etica sono d’accordo ma non mi sembra il modo drastico e autoritario il modo migliore per affrontarla”

“non puoi criticare le scelte personali” – “non voglio scontrarmi con la famiglia” – “Le proteine dove le prendi?”

“Il leone mangia la gazzella” – “neghi le tradizioni” – “così si è sempre fatto

Sono solo alcuni degli stereotipi, frutto dell’ignoranza, della pigrizia mentale e della superficialità – spesso tutte queste cose insieme –  che i carnisti (*)/onnivori/specisti  ripetono – senza essere interrogati –  ai vegani quando se ne trovano uno davanti.  

Il carnista/onnivoro/specista scodinzola di gioia quando incontra un vegano perché, in tal modo, con la protervia che caratterizza chi è vittima dell’oscurantismo e non riflette, può pontificare, può snocciolare le sue banalità, i luoghi comuni triti e ritriti. Sono stanca di rispondere a chi ha il buio nella mente, buio che non gli consente di empatizzare, di non  capire o di fare uno sforzo, di non “sentire”.

Perché i carnisti/onnivori/specisti riducono tutto al cibo, manifestando  un limite culturale imbarazzante. L’antispecismo va ben oltre il piatto tant’è che il veganismo  – consumare cibi vegetali –  ne è solo una conseguenza. L’antispecista non finanzia la ricerca con sperimentazione animale, non finanzia i circhi con animali, i delfinari, i rettilari, gli zoo, gli acquari, non indossa pelle, lana, seta, non assume farmaci o prodotti cosmetici testati su animali. E non consuma cibi di origine animale.

Mi sforzo ancora una volta, forse l’ultima, a confutare alcune  affermazioni che ho elencato all’inizio dell’articolo. 

A chi afferma che  siamo estremisti vorrei mostrare i video che documentano  le umiliazioni e le torture che subiscono gli animali negli allevamenti intensivi prima e  nei mattatoi poi. Ma i carnisti si rifiutano di vedere i filmati con le investigazioni sotto copertura di tante associazioni come Animal Equality https://animalequality.it o Essere Animali https://www.essereanimali.org/

Altre affermazioni sono, a dir poco, sconcertanti come “odio tutte le dittature ideologiche che spesso mascherano altre problematiche”. Vorrei far notare che la dittatura è ben altra cosa e, forse, chi ha pronunciato quella scempiaggine non ne conosce il significato. Inoltre, i vegani, nel mondo, sono meno del 3% . Mi pare difficile pensare a una dittatura del 3%…… E l’altro 97% supinamente sopporta questa dittatura???? Ma il bello viene dopo con l’affermazione “mascherano altre problematiche”. Quali problematiche celerebbe un antispecista? Non posso rispondere perché la stolta affermazione non è stata argomentata.

I più teneri affermano: 

anch’io amo gli animali” 

e se fossi su un’isola deserta?”

Alla prima affermazione obietto che gli animali cui il carnista si riferisce sono cani e gatti senza riflettere che anche maiali, vitelli, agnelli, galline, conigli, tacchini, pesci  e tutto ciò che si mette nel piatto, sono esseri senzienti e desiderosi di vivere. Ma all’affermazione del carnista “amo gli animali” obietto anche che non è necessario amare gli animali per rispettarli.   Io, per esempio, non amo i serpenti e quando me ne sono trovato uno in Australia, nel bagno di un chiosco, me la sono data a gambe levate. Non per questo ho pensato che meritasse la morte.

Sull’isola deserta posso solo sorridere e scuotere il capo nell’udire una simile macchiettistica affermazione……. Quante possibilità ho di vivere da sola, su un’isola deserta?  Magari…..

A chi dice che penso solo agli animali mentre “ci sono intere popolazioni che muoiono di fame” obietto che il benaltrismo è un modo culturalmente modesto di argomentare e che, tra l’altro, non porta da nessuna parte. In ogni caso,  chi afferma tale ovvietà, facendo leva sul lato emotivo, non fa nulla per le popolazioni affamate. Se metà del mondo muore di fame la colpa non è dei vegani (ricordo, siamo meno del 3%….)  bensì del capitalismo e dello sfruttamento dei territori utilizzati per le piantagioni da dedicare all’alimentazione degli animali negli allevamenti intensivi ed estensivi anziché agli umani. 

Un’altra affermazione che mi fa sorridere è “il leone mangia la gazzella”. Come a dire che se il leone uccide un animale per mangiarselo anche un umano può cibarsi di un animale. Qui le obiezioni sono tante. Innanzitutto, noi non siamo leoni (taluni lo sono…..da tastiera), cuciniamo nelle nostre comode cucine e, soprattutto, non siamo esclusivamente carnivori, a differenza del leone che lo è.  A parte che il leone non alleva gazzelle in allevamenti intensivi ma ne rincorre una quando deve sfamare sé e/o i suoi cuccioli. Ma il leone e la gazzella sono sullo stesso piano, a differenza dell’uomo e dell’animale allevato. Non c’è la certezza che il leone catturi la gazzella se questa è velocissima e non si fa raggiungere. E non c’è certezza su chi avrà la meglio tra i due e su chi provocherà dolore. Se la gazzella si farà catturare morirà. Se, al contrario, riuscirà a scamparla, compirà un atto che farà soffrire il leone che non potrà nutrirsi. Quindi, il felino non può scegliere. Ecco la differenza: la scelta.

Noi umani possiamo scegliere con cosa alimentarci.  E  a chi afferma “mangiare animali è una scelta personale” obietto dicendo che una scelta si fa in due. E tra l’umano e l’animale solo uno può scegliere, l’altro subisce. E dove la scelta è asimmetrica c’è una volontà negata.

Jonathan Bazzi, scrittore milanese vegano, di cui consiglio la lettura dei suoi libri(**) afferma: “Di fronte alla scelta vegana gli onnivori si sentono messi in discussione e rifiutano spesso, con violenza, quella discussione. Nel vegano che gli si para davanti vedono un’alternativa connessa a domande di giustizia e compassione, domande che non capiscono o, più semplicemente, sono abituati a non considerare. Domande ingombranti che devono essere eradicate.  

Così partono le battute e le provocazioni al fine di demolire l’esempio destabilizzante ovvero odioso. E ristabilire l’ordine, il regime del così si è sempre fatto. Il cibo è l’ambito in cui le persone si dimostrano più terrorizzate dal cambiamento. E’ anche una questione di immaginario: tutti noi cresciamo, sin da piccoli, nella rimozione del destino degli animali.

C’è un VUOTO tra l’animale non umano, vivo e desideroso di vita e l’alimento che arriva nel piatto. Siamo abituati a separare l’essere senziente dalla polpetta/bistecca/fetta di prosciutto, siamo addestrati a non contemplare i passaggi mortiferi. E non è questione di superiorità morale: i vegani, semplicemente, sono persone che a un certo punto hanno preso atto di cosa c’è in quel VUOTO, in quello spazio occultato. E se ne fanno carico. Agiscono, nel mondo, facendosi portavoce di quegli esseri stipati e brutalizzati, deportati e uccisi. Migliaia, milioni, miliardi di animali mandati a morire ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Esseri che, proprio come noi, sentono il piacere e il dolore, ma che comunicano in un modo diverso dal nostro e che, quindi, possono facilmente essere trattati come materiale inerme, a disposizione. Corpi vivi ridotti a oggetti, cose.

Eppure non c’è possibilità di fraintendere: gli animali vogliono vivere. Scalciano, scappano, si nascondono o tentano di farlo. Fino all’ultimo, fino al loro turno nei mattatoi.

Per molte persone, l’antispecismo è finalizzato solo alla liberazione dell’animale non umano ma l’antispecismo è espressione  di un movimento che include l’intersezionalità. Di questo ne parlerò nel prossimo articolo.

(*) il termine «carnismo» — in opposizione al «veganismo» — è stato coniato dalla psicologa americana Melanie Joy, per indicare quell’invisibile sistema di credenze che condiziona le persone a mangiare certi animali e non altri, e ha fondato la ong Beyond Carnism. 

(**)

Febbre (2019 – finalista Premio Strega) Fandango Libri

Corpi minori (2022 – Mondadori)

1 – Continua