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Sogno o realtà?

L’isola Pitcairn (immagine dal web)

Quando, una ventina di anni fa, vidi per la prima volta il film Gli ammutinati del Bounty – film del 1962, con Marlon Brando, regia di Lewis Milestone – rimasi letteralmente affascinata non solo per le vicende avventurose e burrascose (è il caso di dirlo) vissute per molti mesi da un gruppo di marinai della Marina Inglese, per il senso di infinito che evocava una traversata oceanica su un piccolo vascello ma anche per il desiderio fortissimo di raggiungere quell’angolo remoto, quel luogo disabitato, l’isola Pitcairn, una sorta di sfida. A Pitcairn si rifugiarono i rivoltosi per sfuggire alla cattura e all’impiccagione, inevitabile destino riservato agli infedeli e ai disertori.

Il film narrava una vicenda realmente accaduta nella seconda metà del diciottesimo secolo e suscitò in me l’impazienza e l’ardore di approfondire quella storia, i suoi personaggi e i luoghi descritti. Il fascino della trasgressione e dell’inadempienza fu come una febbre che non volevo curare. La mia natura è sempre stata incompatibile e resistente all’autoritarismo e anche all’autorità quando non ne condivido i principi, le modalità e gli obiettivi ancorchè riconosciuti dallo status quo. E lo dimostra la mia carriera professionale che, nonostante i titoli, lo studio, l’impegno e la serietà spesi, è sempre rimasta ferma al palo fino alla decisione, per alcuni scellerata ma non per me, di rassegnare le dimissioni e realizzare altro.

Che cosa mi attraeva tanto di quel luogo e di quella storia? In fondo avevo visitato più volte luoghi bellissimi e lontanissimi nel mondo, dalle culture affascinanti, diverse dalla nostra, ricche di storia e di misteri. Quella vicenda aveva qualcosa in più perché coniugava l’inaccessibilità del luogo e la ribellione all’autoritarismo, al potere dispotico, all’intolleranza, alla tirannide, l’anelito alla libertà. Da allora, quell’ostinato desiderio, ormai saldato nelle retrovie dell’anima, vacillava solo quando, cercando di concretizzare l’organizzazione del viaggio, mi rendevo conto che oggettive difficoltà ne ostacolavano la realizzazione. Difficoltà logistiche, economiche, burocratiche, sanitarie in un’incessante altalena di euforia e delusioni. Per me viaggiare è una filosofia di vita, non è solo mero svago o un temporaneo affrancarsi dalla routine. Viaggiare travolge i pensieri, li accumula e li dipana, li dissolve e ne rincorre altri in un continuo eterno ritorno. Viaggiare è incontrare, scambiare, confrontarsi, liberarsi. Viaggiare aguzza la creatività o la risveglia se è assopita. Viaggiare non è uno stile di vita o di consumo ma assume un potere rivoluzionario. Il mio viaggio a Pitcairn – tra i luoghi più remoti e con meno abitanti al mondo, solo 49 persone – che finalmente sono riuscita a realizzare con mio marito Seb per l’anno prossimo, sarà spartano. Ciò non significa che sarà raffazzonato, impreciso, pressapochista ma essenziale, basico, sobrio. E sarà ricco di incontri.

Oggi l’isola Pitcairn è un po’ più accessibile anche se è fuori dalle rotte turistiche e ancora oggi non dispone né di attracco per le imbarcazioni né di aeroporto. È sempre un’impresa colossale ma meno difficile da realizzare. Ci arriveremo con una nave cargo… Non vedo l’ora di raggiungere quella piccolissima isola abitata dai discendenti degli ammutinati e delle donne tahitiane che li seguirono. E non vedo l’ora di conoscere Brenda e Mike, che ci ospiteranno nella loro casa per alcuni giorni.

La storia dell’ammutinamento del Bounty qui o qui.

Immagine dal web

Ascoltando Across the Universe dei Beatles