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Un’emozionante fatica……

Sono tornata da New York da poche ore dove, nonostante la frequenti  da 30 anni, ho vissuto nuove ed eccitanti emozioni. New York è proprio questo. Ho incontrato persone interessanti, rivisto vecchi amici, frequentato dei fantastici ristoranti vegani, visitato musei, ascoltato musica. Ho persino incontrato Isa Chandra Moskowitz nel suo ristorante di Brooklyn “Modern Love”, ho fatto due chiacchiere con lei e scattato un paio di foto. Insomma un soggiorno pieno ed eccitante.
Ma l’emozione più grande l’ho vissuta oggi quando ho ricevuto la notizia della stampa del mio libro.
Un’emozione tanto forte l’ho provata il giorno in cui ho ritirato dalla copisteria la mia tesi di laurea e il giorno in cui l’ho discussa. Avevo in tasca la boccetta di fiori di Bach “Rescue” che tenevo come un feticcio. La maneggiavo nervosamente sperando in un effetto anche solo al tatto….
Quando mi è stato proposto dalla casa Editrice Sonda di scrivere un libro di ricette ho pensato, lì per lì, che non sarei stata in grado. Non avevo mai scritto libri salvo, appunto, la tesi e non avrei saputo da che parte iniziare. Fortunatamente mi sono presa un paio di giorni di riflessione, decisivi per la scelta di accettare.
Mi sono ricordata, infatti, le parole di un mio professore universitario che disse a noi studenti  che scrivere una tesi sarebbe stato propedeutico per scrivere qualsiasi libro. Intendeva dire che aiutava ad acquisire un metodo.
Sono passati tanti anni da quei tempi e da quelle parole ma, riaffiorando nella memoria, sono state la spinta ad accettare.
E’ stato un lavoro a quattro mani: le mie due per cucinare di giorno e scrivere i testi a tarda sera/notte e quelle di mio marito Sebastiano per scattare centinaia di foto ai piatti.
La mia cucina è stata per tre mesi un campo di battaglia e il soggiorno un perenne set fotografico. Non ho potuto invitare nessuno per mancanza di spazio vitale, occupato da obiettivi, cavalletti, teli di sfondo, tovaglie e vari accessori.
Il tavolo e il banco della cucina perennemente occupati da ingredienti, attrezzi, accessori di ogni tipo.
I miei assaggiatori privilegiati – i miei nipoti, Tommaso e Andrea –  erano ogni giorno da noi per cercare di sbafare le preparazioni del giorno. Le loro critiche e apprezzamenti mi sono stati di grande aiuto per mettere a punto le versioni definitive delle ricette. Il giudizio dei bambini, candido e spontaneo, è stato essenziale.
Ora attendo i feedback di chi acquisterà ma, soprattutto, utilizzerà il mio libro mettendo in pratica le ricette.
Nella stesura del libro ho cercato di essere essenziale ma completa nelle descrizioni ma, sono disponibile a dare indicazioni se qualcosa risultasse poco chiaro.
Ringrazio fin d’ora chi mi sosterrà.

Ascoltando Dave Matthews e Tim Reynolds che saranno in plug&play a Milano al Teatro Arcimboldi il 7 aprile (abbiamo i biglietti da mesi….. 🙂  )

 

 


Sognare fa bene alla salute….

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Sognare è sano e fa bene alla salute.  Lasciarsi andare in qualche sogno frivolo e leggero fa bene.

Il sogno più ricorrente che faccio – a occhi aperti – è quello relativo al luogo dove mi piacerebbe vivere.
E il cuore – ma anche la mente – mi porta sempre là, nella città più bella, più affascinante, più emozionante, più turbolenta e vibrante: New York.
Io amo l’America e mi piace visitarla ma non potrei mai viverci, al di fuori di New York (in subordine, Venice beach, in California 🙂  )
New York è cultura, novità, arte, musica, fermento, laboratori d’arte, di musica, artisti di strada, improvvisazioni, contraddizioni, creatività, etnie, cibi da tutto il mondo.

E’ anche parchi, musei, teatri, gallerie d’arte.

New York scoppia di vita e di stravaganze, di colori, di suoni, di eventi, di stranezze, di nuove scoperte.

Ti senti nascosto e, nello stesso tempo, esposto.
Nel 2011 ho vissuto per lungo tempo a New York. Abitavo ad  Alphabet city, all’East Village. Non è un quartiere per turisti e questo mi faceva sentire newyorkese ed era eccitantissimo. Prendevo l’autobus sotto casa per andare al mio corso di orafo. Uscivo con la travel mug fumante di caffè.

Purtroppo a causa della gentrification i quartieri si sono snaturati ma è possibile trovare ancora segreti  e tesori nascosti.
La prima volta che misi piede a New York era il 1987. Ricordo come fosse oggi lo stupore, l’eccitazione, mi sentivo in un film.

La prima cosa che mi colpì fu l’inconfondibile skyline e subito dopo furono i vapori che uscivano dai tombini sulla strada. Un fenomeno che ho visto solo a New York. Ricordi nitidi, fissi nella memoria. Ricordo i profumi di cibo per strada, non sempre profumi delicati e ricordo un odore acre di margarina fritta che usciva da certi locali invadendo l’aria e rendendola irrespirabile.

Le passeggiate a Central Park, le soste di ore in libreria seduta per terra a sfogliare libri alla Barnes&Noble di Union Square, il caffè di Starbucks e l’aria condizionata a manetta. Quella era terribile!

Ecco, questo è il mio sogno, uno dei tanti. Vivere a New York.
Perché New York non è l’America. Nell’altra America, non potrei mai vivere. Sto nella mia Milano che, sotto sotto, è una piccola New York.
E’ proprio di tre giorni fa un articolo sul Corriere, anzi un’intervista a una ricercatrice di New York che ha deciso di venire a vivere a Milano e far crescere qui suo figlio. Perché “Milano è come New York ma a misura più umana”.
Bene, se la ricercatrice ha la casa libera a New York, io mi offro…..

Ascoltando Leaving New York (never easy….) dei R.E.M

 

 


Sunday vegan Jazz Brunch

Sin da piccola – direi ancora in culla – in casa si ascoltava Jazz. Il grandissimo cultore ed estimatore della musica afroamericana era Mario, mio padre. Mi portava ai concerti jazz a Milano, dove vivevamo.

Ho avuto la fortuna di andare ai concerti di Ella Fitzgerald, Duke Ellington, Miles Davis, Dizzie Gillespie, Max Roach e di altri grandissimi del Jazz.

Una musica che mi è davvero familiare e che rappresenta la colonna sonora di tutta la mia vita.
Dunque, è con grandissimo piacere ed emozione che sono felice di annunciare che ospiterò due musicisti Jazz al mio B&B a Torbole sul Garda. Si tratta di Martha J (voce) e Francesco Chebat (tastiere).
Sarà un’occasione per ascoltare musica di alto livello, american style, gustando un vegan brunch (preparato da me) come ho fatto spesso nei migliori Jazz Club di New York.

Martha J Sunday Jazz Brunch fb


Rieccomi…..con i Waffle al mais!!

waffle2

Rieccomi, dopo un periodo di intenso lavoro (matto e disperatissimo….)  ma anche di  impareggiabili soddisfazioni e gratificazioni.
Finalmente riesco a tirare un po’ il fiato e a soddisfare le numerose richieste dei molti ospiti del B&B – ma non solo – che mi hanno chiesto la ricetta dei waffle.
I waffle sono uno dei piattini caldi, serviti a colazione, che quotidianamente si avvicendano, al mio B&B, come  extrabuffet.
Si alternano con pancake, minidonut, crespelle….
La ricetta è tratta da uno dei miei libri preferiti: “Vegan brunch” di Isa Chandra Moskowitz.
Questa ricetta la dedico ad Alessandra, una deliziosa ragazzina che è stata ospite del B&B con i suoi genitori, altrettanto deliziosi.
Non potrò dimenticare la sua spontaneità nell’esclamare, dopo aver visto il piatto con il suo waffle: “Li adoro!”

Naturalmente per realizzare i waffle è necessario disporre del fattapposta….
waffle1

Ingredienti (per 6-7 waffle):
2 cup (*) di latte vegetale a scelta (io uso riso o mandorla autoprodotto)
1 teaspoon aceto di mele
1 cup e mezza di farina di mais fioretto (quella impalpabile)
1 cup farina, a scelta (io uso la zero ma anche integrale bio)
1 tablespoon(*) lievito per dolci (io uso polvere lievitante per dolci Baule Volante)
1/4 cup zucchero (io uso quello di canna)
1/4 cup olio di mais o girasole (la ricetta americana parla di canola oil)
1/2 teaspoon (*) di sale
Frutta fresca di stagione per guarnire
Sciroppo d’acero

(*) non è un vezzo nè un esterofilia (come mi hanno fatto più volte notare) non tradurre “cup” in “tazza” o “teaspoon” in “cucchiaino”. Le cup  e i teaspoon o i tablespoon sono vere e proprie misure di capacità.  L’alternativa sarebbe quella di scrivere il peso degli ingredienti ma, in questo caso, non li ho mai pesati…. Perdono!!

Procedimento:
Versare il latte in una ciotola e aggiungervi l’aceto di mele.
Lasciarlo da parte una decina di minuti  in modo che cagli un pochino (avverto che non caglia molto ma non importa).
In un grande recipiente versare tutti gli altri ingredienti secchi  (farina di mais, farina, polvere lievitante, sale e zucchero).
Aggiungere il latte – che si era lasciato da parte – e l’olio.
Mescolare bene con la frusta per evitare grumi.
Ungere leggermente con il pennello la piastra elettrica dei waffle e, quando è al massimo calore (nella mia si accende una spia), versare una dose di impasto in entrambe le “cavità”.
Abbassare la piastra e attendere 5 minuti (o secondo le istruzioni del costruttore).
Guarnire con frutta fresca e sciroppo d’acero!
Sto ascoltando uno dei pezzi di Dave Matthews Band che amo di più in assoluto, “Bartender” .
Mi ricorda di quando vivevo a New York, uno dei periodi più intensi ed elettrizzanti della mia vita anche se non il più facile e di quando frequentavo il bar The Bean, vicino a casa (ne ho scritto qui) e mi tuffavo nelle strepitose torte vegan!!!!

E poi oggi è il dodicesimo anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle. Never forget 9/11!!  A dieci anni dalla tragedia ero a New York. Ne ho scritto qui.


Tutto il mondo è paese?

TargaDAvvistata a Torbole
TargaUSA
Avvistata a New York

E ora mi ascolto una deliziosa Patrizia Laquidara in “L’equilibrio è un miracolo”


Per non dimenticare…

L’anno scorso, l’11 settembre ero a New York.
Ripropongo il video che mi inviò Ron, il mio american english teacher.

Ascoltando uno struggente Ry Cooder in Paris, Texas (uno dei film che amo di più).


Intervista a due creativi


Giusy e Stefano, li ho conosciuti un annetto fa sul web. Ero a New York per frequentare il corso di oreficeria allo Studio Jewelers  (QUI come passavo le giornate in laboratorio…) e, per approfondire certe tecniche, alla sera cercavo su google i siti che potevano darmi le risposte che cercavo.

Anche perchè – è quasi un paradosso – imparavo la terminologia tecnica in inglese ignorando completamente quella italiana. E mi interessava conoscere i termini tecnici e la strumentazione nella mia lingua anche per poter rifornirmi del materiale necessario esprimendo le opportune richieste.

Grazie alle spiegazioni trovate sul sito di Giusy e Stefano, sono riuscita a trovare molte indicazioni. Ma alcune cose volevo ulteriormente approfondirle e così, con un po’ di faccia tosta (che si acquista vivendo sola in una megalopoli e a 6000 km da casa) ho inviato loro un email.

Non solo ho avuto subito la risposta ma è intercorsa, successivamente,  una fitta corrispondenza virtuale che, man mano, travalicava l’argomento meramente tecnico entrando in aree più personali e private che non potevano non finire nella promessa di un incontro, al mio rientro in Italia.

Durante la corrispondenza abbiamo scoperto molti punti di interesse, a partire dalla musica (sono anche musicisti), dall’amore per gli animali, per l’arte, per le moto, per i viaggi. E Giusy non si è mai risparmiata gli incoraggiamenti quando vacillavo e vedevo tutto difficile e oscuro…

L’incontro è avvenuto a Levico Terme, dove hanno l’attività di orafi da 20 anni (provenienti dal Friùli) e dove ho potuto vedere le meraviglie che crea Stefano e la nuova attività di Giusy legata alla trasformazione delle immagini fotografiche.

Alla sera abbiamo concluso la nostra giornata in un ristorante veg poco distante da Levico: Veg Point – Via Alberè 22 – Tenna (TN) – Tel 0461/700149.  E posso dire che anche questo incontro è stato estremamente ricco e positivo, concludendosi con questa intervista.

Stefano, da quando hai iniziato a interessarti di arte orafa?

Dopo le superiori (geometra) e un lavoro come aiutante elettricista, ho iniziato a frequentare un laboratorio orafo nel mio paese d’origine: Codroipo, in provincia di Udine. Qui ho assaporato il piacere del lavoro artigianale, e scoperto una vocazione per quest’arte. E’ strano perché non avrei mai pensato di lavorare nell’ambiente orafo: da un lato non avevo interessi di questo tipo, dall’altro avendo alcuni cugini a Valenza Po (in provincia di Alessandria, tra i più grandi poli orafi d’Italia  – l’altro è Vicenza) che lavorano come operai orafi in vari laboratori o ditte, avevo già catalogato quello come un lavoro settoriale, di pura manovalanza, non adatto a me. L’artigianato è tutta un’altra cosa: segui una creazione dall’inizio alla fine, godendo di tutti i passaggi e vedendola crescere tra le tue mani: è decisamente più soddisfacente e completo, come lavoro!

Chi è stato il tuo maestro (o la tua scuola)?

Non ho fatto scuole d’arte ne’corsi specifici di oreficeria; dall’orafo che ho frequentato al mio paese ho “rubato” molto con gli occhi, e quando mi ha fatto provare l’attività presso un suo collega a Udine, le basi venivano già da sole! Poi lì sono rimasto “a bottega” per parecchi anni e ho imparato l’arte orafa in tutte le sue sfaccettature. La scuola è sicuramente importante, ma non c’è niente di meglio che imparare direttamente sul campo. Tanto la creatività e l’estetica o le hai o non le impari con una scuola, mentre tutti i problemi tecnici che affronti in un laboratorio di creazioni e riparazioni ti preparano alla vita reale e alla possibilità di avviare con competenza un’attività in proprio.

Che cosa o chi, dal Friùli, vi ha spinto in Trentino?

Stefano: Il caso, come spesso capita. Siamo venuti  in ferie in zona per un paio di anni e il luogo ci è piaciuto: entrambi siamo appassionati di montagna, tanto da dedicarci poi a trekking e ferrate. Giusy si stava laureando senza avere prospettive di lavoro se non all’estero, mentre io, dopo tanti anni di lavoro sotto padrone, sentivo che potevo espormi in qualcosa di più personale.

Abbiamo scelto un posto non troppo dissimile dalla nostra pianura ma con tante montagne interessanti attorno, ci siamo lanciati e… eccoci qua! Nel 1992 abbiamo aperto il nostro Laboraotrio Orafo NIGI (www.nigilab.com). Giusy mi aiuta molto nella gestione dell’attività permettendomi di dedicarmi esclusivamente al lavoro “da banchetto” ma nel contempo si esprime anche lei realizzando alcuni modelli personali.

Cos’è che caratterizza le creazioni NIGI?

In Friuli ci sono parecchi laboratori orafi piccoli, per lo più a conduzione familiare, dove si realizzano gioielli secondo un’antica tradizione longobarda, ed è questa che ho sviluppato. I gioielli vengono realizzati con il metodo della “fusione a cera persa” (ossia si lavora prima la cera e poi la si trasforma in metallo) e vengono scolpite delle parti che successivamente non saranno lucidate: questo gioco di oro-lucido e oro-grezzo è tipico delle popolazioni antiche e in Trentino non si vedevano esempi di questo tipo. Abbiamo proposto questa nuova lavorazione


che ha avuto successo sia tra i clienti locali sia tra i turisti,  stranieri e italiani. Alcuni conoscono questa lavorazione con il termine di “oro etrusco”, anche se non sarebbe del tutto corretto in quanto i gioielli antichi di quella zona venivano realizzati con la tecnica della granulazione.

Comunque lavoro anche direttamente il metallo e con la fusione a cera persa realizzo anche gioielleria classica, tutta lucida.
Altre creazioni di Stefano:

So che partecipate anche a mostre, eventi ecc. Cosa ci racconti in proposito?

L’Associazione Orafi in Tentino è ben organizzata creando così eventi e mostre di ogni tipo. Periodicamente realizziamo quindi dei gioielli in tema per le varie mostre (www.nigilab.com/IN ), ma siamo stati inseriti anche nell’Annuario dell’Artigianato Artistico Italiano, nel 1997, e siamo stati segnalati al Premio ArtigiAno 2010 per “la capacità di tradurre in un gioiello la spiritualità di un gesto”: l’opera per il concorso era “Il Segno della Croce”, una croce realizzata con due fili contigui che seguono quel gesto sacro,
appunto: ora questo è il nostro prodotto di punta, quello che più ci caratterizza in zona.
Di tanto in tanto ci occupiamo anche di attività didattica ospitando scolaresche nel nostro laboratorio o eseguendo dimostrazioni pubbliche. Ho sempre amato divulgare il mestiere, spiegando ai clienti i vari passaggi delle lavorazioni e sviluppando un negozio con laboratorio a vista.

Adesso mi sto attivando per diventare Maestro Orafo, ma è un processo molto lungo, distribuito in più anni.

Giusy, tu sei laureata a Ca’Foscari in Lingue e Letterature Orientali e hai viaggiato molto in India. Che cosa ti resta di quell’esperienza sia di studio sia di vita?

Sono stati anni molto ricchi, a livello culturale. Ho sempre amato tutto ciò che è “lontano” e diverso, mi piace confrontarmi con culture alternative alla mia, e questo percorso didattico ha soddisfatto queste mie esigenze.

Studiando la filosofia e le religioni orientali ho imparato tante cose: confrontandole con la nostra cultura ho potuto notare come esistano delle Verità Universali, comuni a tutte le civiltà, e questo è ciò che più mi ha colpito e che si è “inciso” dentro di me influenzando tutto ciò che faccio ed esprimo nella mia vita. Non sono i numeri, i nomi e le date che ti arricchiscono come persona, ma i concetti sottintesi a quelli.

Che lingue hai imparato?

L’Hindi, la lingua principale dell’India (in quanto parlata nella zona della capitale) tra le 14 ufficiali nel subcontinente (alcune perfino con un alfabeto diverso!); un po’ di sanscrito, ossia la sua controparte antica, come il greco e il latino per noi europei; infine l’inglese, che ho specializzato in una facoltà parallela: sempre a Ca’ Foscari di Venezia ma alla facoltà di Lingue e Letterature Occidentali, per poter esercitare l’insegnamento, eventualmente. Ah, dimenticavo, il primo anno di studi ero iscritta ad Arabo, per cui ho iniziato a studiare anche l’arabo classico, il tunisino e il libanese, ma ora non li ricordo più molto.

Siete anche musicisti e il vostro gruppo si chiama Talking Sound.  Come è nata la vostra passione per la musica?

Giusy: la musica è stata la mia prima vera passione, ma la mia famiglia non l’aveva realmente capito per cui ho potuto dedicarmi seriamente allo strumento della chitarra solo in età avanzata (dopo i trenta) e una volta trasferitami in Trentino.
Ho preso lezioni dapprima da un vicino di casa, poi ho seguito i corsi di una scuola seria per qualche anno e infine – dopo alcuni anni durante i quali mi sono dedicata alle composizioni di canzoni proprie, suonato in una band al femminile e fondato un “duo elettrico” con mio marito, chiamato appunto Talking Sound –  ho preso lezioni private per un paio di anni sulla chitarra solistica rock e l’improvvisazione jazz. www.youtube.com/talkingsound1  www.myspace.com/talkingsound.
Con il duo ho dovuto anche cantare, per cui ho iniziato a prendere anche lezioni di canto, ma qui ho più lacune…

Stefano: io invece non avrei mai pensato di dedicarmi alla musica –nemmeno qui… mi sa che la mia vita è stata tutta una sorpresa! Ma vedendo quanto impegno ci metteva Giusy, ho detto, perché no? Qualcosa devo fare anch’io nel frattempo! Così ho studiato la batteria, dapprima nella scuola della banda locale, poi prendendo lezioni da batteristi molto conosciuti in zona. Quando il gruppo di Giusy si è sciolto abbiamo iniziato a provare in casa, dove abbiamo una sala prove, e visto che le cose funzionavano bene anche in due, abbiamo fondato questo duo elettrico e iniziato a suonare in giro le canzoni di Giusy, che è molto creativa, in questo senso.

Insomma: Giusy mi segue nell’attività lavorativa e io l’ho seguita nell’hobby della musica!

Che cos’è il “duo elettrico”?

Giusy: per duo, in musica, si intende ovviamente due strumentisti che suonano assieme. Quando c’è di mezzo almeno uno strumento elettrico, si può parlare di duo elettrico. Noi suoniamo la chitarra elettrica e la batteria, ma esistono duo simili in formazione basso-batteria. Siccome questa formazione non è effettivamente molto conosciuta (eccetto il caso dei White Stripes, probabilmente), e che a molti pare perfino una band “monca” in quanto mancante del basso o della chitarra, ho creato una pagina dapprima su Myspace, infine su Facebook dedicata all’argomento e l’ho chiamata Electric Duo Project. Su myspace (www.myspace.com/electricduoproject) ho radunato tutte le band che trovavo, a livello mondiale (mica tante eh, poco più di un centinaio!); le ho personalmente contattate, mi sono fatta inviare una biografia, foto videi e brani musicali che avevo raccolto e pubblicato in vari lettori e album, poi però c’è stato un cambiamento grafico di grande impatto nel social network e ho perso molto materiale. Non ho avuto più tempo per dedicarmi a quella pagina, che è quindi un po’ abbandonata e incompleta, ora.

Su FB ho invece realizzato una pagina in tema radunando le band italiane, e siamo ora tutti in contatto, scambiandoci date di concerti ecc. http://www.facebook.com/?ref=home#!/group.php?gid=173645233591

Infine per anni ho tentato di realizzare un festival in tema, contattando dei produttori  ma quand’era a buon punto è sfumato tutto per carenza di sponsor: eh questa crisi, non c’è settore che non colpisca!

Giusy, ora hai iniziato una tua attività creativa legata all’elaborazione delle immagini fotografiche. E l’hai chiamata Joy Arte Grafica. Innanzitutto, lo sai che ho chiamato  la mia cagnolina Joy  proprio ispirandomi al  nome che hai dato alla tua attività? Comunque, tornando alla tua arte, da cosa nasce questo interesse per la trasformazione delle immagini su tela?

Sì sì, mi ricordo, si chiamava Gaia ma l’entusiasmo per la mia nuova attività ti ha travolto così tanto che abbiamo condiviso questo splendido nome con le nostre passioni… Sai, certe cose nascono quasi per gioco: durante le lunghe serate invernali mi capitava di rimaneggiare un po’ di foto,  e così ho imparato ad usare con destrezza certi programmi fotografici. Esagerando con le elaborazioni ho visto che nascevano cose nuove, insolite ed interessanti, perfino lontane dalle immagini originarie, ed è stata proprio la sorpresa di veder nascere questi nuovi soggetti e le emozioni di gioia che mi comunicavano, che ho scelto questo nome: JOY.
Ora amo fotografare cose stranissime per poi vedere cosa se ne può ricavare.
Dapprincipio ho elaborato i soggetti astratti e i Daemon (nel senso greco del termine, ossia apparizioni di altri mondi che fungono da messaggeri tra gli dei e gli uomini), li ho stampati su pannelli forex (materiale leggero ma resistente, con la stampa direttamente su pannello, non carta fotografica incollata che poi col tempo cede) e decorato la nostra abitazione. L’interesse degli ospiti era sempre di sorpresa e di gioia, e alcuni di loro me ne hanno ordinato qualcuno. Da qui richieste di soggetti più vari e “comprensibili” come fiori, animali ecc. e quindi mi sono lanciata “sul mercato” elaborando soggetti vari.
Ecco alcune creazioni di Giusy

Se qualcuno volesse vedere le tue opere, dove le trova? E come fa ad acquistarle?

Siccome ho iniziato da poco l’attività, per il momento ho realizzato una semplice pagina facebook (www.facebook.com/joyartegrafica); cliccando su “foto” appaiono degli album suddivisi nei vari soggetti del catalogo. Se interessati basta inviare un messaggio o scrivere a joyartegrafica@teletu.it

Intanto ti ringraziamo per l’interesse, la tua disponibilità nei nostri confronti e il bel lavoro che fai con questo blog. E’ stato un piacere essere intervistati da te!

Ringrazio Giusy e Stefano per il tempo che mi hanno dedicato e per la passione che mi hanno trasmesso, ascoltandoli.

Dedico a loro questo bel blues: il grande BB King in Blues Boys Tune


Auguri all’ America e non solo…


L’anno scorso, il  giorno dell’Independence day  ero a New York. La città trasudava patriottismo  – in certi casi spinto agli eccessi da rasentare il ridicolo e il pacchiano – da tutte  le angolature.
Ho vissuto tre Independence day negli States e l’esperienza è stata sempre molto interessante, se non altro dal punto di vista sociologico (è una mia deformazione….).
L’anno scorso a New York,  il corso che frequentavo era chiuso per l’importante celebrazione e io mi sono divertita come una matta ad andare a caccia di immagini curiose, simpatiche, eccessive.
Comunque, al di là di tutto, AUGURI AMERICA!!

Ma il 4 luglio ricorre anche il primo anniversario di questo blog che, proprio perché è nato in America,  merita particolare attenzione nel Giorno più importante per gli States.
Grazie a questo blog, creato per ridurre quel senso di solitudine per la lunga assenza da casa e in un posto lontano, ho conosciuto persone interessanti e particolari che hanno dissolto – almeno in parte –  attraverso i loro commenti, le loro mail, le loro tracce, la loro costante presenza, quel senso di isolamento che spesso mi assediava, nonostante vivessi in una delle città che più amo.

Ma un augurio speciale è per la mia cara amica Moky, milanese emigrata da 20 anni negli States, che da pochi giorni è diventata americana (e a novembre potrà votare per Barack Obama!).
Moky  non solo è vegan ma è anche una persona generosa, altruista, affettuosa, aperta e intelligente. Ed è una SuperMamma di 4 bellissimi bambini/ragazzini.
A distanza – grazie a Skype –  mi ha aiutato in diverse situazioni di disagio (in particolare, alle Hawaii avevo problemi con le tubature e mi ha aiutato a gestire la padrona di casa…), mi è stata vicina telefonandomi spesso mentre ero a New York, mi ha confortata durante l’Uragano Irene (ero terrorizzata), mi ha  risolto un paio di problemi di spedizioni via Internet con aziende a stelle e strisce che non accettavano la carta di credito italiana, mi ha inviato diversi pacchi pieni di leccornie vegan oltre alla teglia per i donuts grandi e piccoli.
Moky, inoltre, ha tradotto in tempo record (un giorno) il testo (lungo) del sito del mio B&B essendo l’inglese ormai la sua madrelingua, con un entusiasmo per questa mia nuova avventura che mi commuove ogni volta che lo manifesta.
E’ veramente raro trovare una persona che conosca il significato dell’Amicizia. Grazie Moky!
 
I libri della foto li ho letti diversi anni fa e li vorrei rileggere. Ecco perché li ho esposti.

1) AMERICA PERDUTA – In viaggio attraverso gli USA  – di Bill Bryson
TRADUZIONE  di Amedeo Poggi e Annamaria Melania Galliazzo

2) IL DOTTOR SAX – BIG SUR * – di Jack Kerouac
TRADUZIONE  di  Magda De Cristofaro e Bruno Oddera

* Big Sur è uno dei posti più incantevoli che abbia visitato. Si trova al centro della California, a picco sul Pacifico.

Sto ascoltando  John Coltrane in Just Friends.


La seconda vita delle cose

Ascoltando Fats Waller in Ain’t Misbehavin penso alle trasformazioni, al cambiamento delle cose, a nuove opportunità.

DAI JEANS

Amo i jeans smodatamente, li considero la mia seconda pelle ma, nonostante siano pressoché indistruttibili, alcuni  sono costretta a eliminarli perché  non più indossabili. Ma, da riciclatrice  creativa, li trasformo in oggetti di uso quotidiano.
Ecco le trasformazioni dei jeans


Un paio di ciabatte  lavabili

La loro custodia (per metterle in valigia)…….


…personalizzata


Tovagliette americane

Un sottotazza

Uno zainetto

Una borsa

Una sacca porta tutto (io la tengo nella cabina armadio e ci metto le calze)

Un porta incenso

Un porta fiammiferi

Un porta telecomandi

Un porta accessori della macchina per cucire

Un porta tutto personalizzato (Lidia è la mia mamma)

DALLE TOVAGLIETTE AMERICANE

Quando le tovagliette americane si usurano o si macchiano, do loro un’altra vita


Un porta pane

DALLE CASSETTE DEL VINO
Sono oggetti che ritengo un peccato buttare ma trovo divertente decontestualizzare  reinventandoli


Con una tovaglietta di paglia…

…..le maniglie di ottone…

…diventa un vassoio porta condimenti


Una cassetta più piccola diventa un pratico contenitore di spezie

DA UN SACCHETTO DI CARTA, DA NEW YORK
Ho usato il sacchetto interno della double bag


Una tovaglietta americana

Carta per appunti

Per coprire una scatola da scarpe ….

…per conservare le cipolle

Mi piace inventare, creare, reinventare, riciclare, trasformare.  Un eterno ritorno…


Coscienza o finto moralismo?

Ascoltando il grande Jimi Hendrix in Cocaine  penso al mio chiodo, in pelle nera, per anni oggetto di un desiderio incoercibile, alimentato dal fascino che subivo di Marlon Brando che lo indossava alla guida della sua Triumph Thunderbird 6T sulle strade della California  nel film  “Il selvaggio” (The wild one – 1953).  Io, motociclista e ammiratrice del fascinoso attore americano, quell’indumento leggendario  simbolo di trasgressione e di rottura, ricco di appeal  e storia ma anche pratico e funzionale, comodo e caldo, lo volevo a ogni costo. E volevo proprio quello, stesso modello (Perfecto) e stessa marca (Schott).  Nel 1994 lo comprai a New York, da Dave’s,  dopo una lunghissima e affannosa ricerca nei negozi della Grande Mela.

Ricordo ancora, nel negozio, la locandina del film sul muro. L’ho indossato per quasi 13 anni, con voluttà,  senza mai saltare una stagione come può capitare con altri indumenti,  intenzionalmente dimenticati per qualche anno e poi nuovamente indossati.  E ogni anno l’uso lo rendeva sempre più bello.
Un giorno, in piena  condivisione dell’etica vegan, quel chiodo dai mille significati simbolici e  tanto desiderato mi è apparso come ciò che era: un animale ucciso, una pelle “indossata” da una creatura sacrificata per soddisfare anche i miei desideri. Non sono più riuscita a indossarlo ed è là da allora, tradito.

Che fare degli indumenti, oggetti, complementi d’arredo, accessori di origine animale acquistati prima di abbracciare l’etica vegan?

Questo è il problema di coscienza che mi pongo da 5 anni a questa parte, ogni volta  che utilizzo uno di questi oggetti.

Alcuni di questi, dalla vita relativamente breve, come scarpe e borse  in pelle, maglie o indumenti in lana e seta,  li ho utilizzati e altri li utilizzerò fino alla loro usura ma è per quelli dalla vita sempiterna  che mi pongo il problema  che smuove la mia coscienza.

Coscienza, finto moralismo, egoismo? Che fare?

Ritengo che tra scelte passate e scelte presenti debba esistere un continuum che rappresenta la nostra storia.

Non credo che butterò mai via il mio chiodo o che lo possa vendere. Anche perchè così non si tratterebbe altro che trasferirlo altrove.

Penso che lo terrò sempre nell’armadio a ricordarmi che le persone hanno la necessità di compiere un percorso sulla strada della consapevolezza e del fine etico della propria esistenza. E mentre penso che non me ne separerò mai mi ascolto Jimi Hendrix.