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Difetti insopportabili e inaccettabili…..

invadente

 

Sarò breve…..

Due categorie di difetti non riesco a sopportare nelle persone e, di conseguenza gli umani che  ne sono afflitti (o, meglio, che affliggono): la menzogna e l’invadenza.
Mi sento di sottolineare, senza timore die essere smentita che, pur avendo una miriade di difetti, anche pesanti da sopportare (ne sanno qualcosa i miei cari e mio marito in particolare….ma anche gli amici più stretti o chi ha avuto a che fare con me), non sono né bugiarda né invadente.

Sui miei difetti indugerò in un prossimo post. E’ necessaria una lunga trattazione…..  😉

Alle persone sincere che, pur consapevoli di palesare una debolezza o una mancanza, non sanno mentire; alle persone discrete, rispettose dei tuoi tempi, dei tuoi spazi, delle tue abitudini, delle tue manie, che sanno intuire quando è il momento di avvicinarsi e quando è il momento di allontanarsi perdòno tutto (o, almeno, ci provo e mi impegno).

Intendiamoci, non è che sia una santa…. Altre caratteristiche umane mi sono insopportabili ma riesco a essere più tollerante verso quelle  e, anche se non a giustificare, tendo a dare una spiegazione al loro manifestarsi nonostante mi facciano infuriare. Vedi i razzisti, i saputelli, i presuntuosi, gli arroganti, i maleducati, i raccomandati, i leccaculo, i portaborse, gli opportunisti, gli avari, ecc. ecc.

bugie2

Sono stata breve, come promesso. E ora ascolto Stan Getz, grandissimo sassofonista di Philadelphia, morto a Malibu a 64 anni,  in These foolish things…

 


Sunday vegan Jazz Brunch

Sin da piccola – direi ancora in culla – in casa si ascoltava Jazz. Il grandissimo cultore ed estimatore della musica afroamericana era Mario, mio padre. Mi portava ai concerti jazz a Milano, dove vivevamo.

Ho avuto la fortuna di andare ai concerti di Ella Fitzgerald, Duke Ellington, Miles Davis, Dizzie Gillespie, Max Roach e di altri grandissimi del Jazz.

Una musica che mi è davvero familiare e che rappresenta la colonna sonora di tutta la mia vita.
Dunque, è con grandissimo piacere ed emozione che sono felice di annunciare che ospiterò due musicisti Jazz al mio B&B a Torbole sul Garda. Si tratta di Martha J (voce) e Francesco Chebat (tastiere).
Sarà un’occasione per ascoltare musica di alto livello, american style, gustando un vegan brunch (preparato da me) come ho fatto spesso nei migliori Jazz Club di New York.

Martha J Sunday Jazz Brunch fb


Per non dimenticare…

L’anno scorso, l’11 settembre ero a New York.
Ripropongo il video che mi inviò Ron, il mio american english teacher.

Ascoltando uno struggente Ry Cooder in Paris, Texas (uno dei film che amo di più).


Intervista a due creativi


Giusy e Stefano, li ho conosciuti un annetto fa sul web. Ero a New York per frequentare il corso di oreficeria allo Studio Jewelers  (QUI come passavo le giornate in laboratorio…) e, per approfondire certe tecniche, alla sera cercavo su google i siti che potevano darmi le risposte che cercavo.

Anche perchè – è quasi un paradosso – imparavo la terminologia tecnica in inglese ignorando completamente quella italiana. E mi interessava conoscere i termini tecnici e la strumentazione nella mia lingua anche per poter rifornirmi del materiale necessario esprimendo le opportune richieste.

Grazie alle spiegazioni trovate sul sito di Giusy e Stefano, sono riuscita a trovare molte indicazioni. Ma alcune cose volevo ulteriormente approfondirle e così, con un po’ di faccia tosta (che si acquista vivendo sola in una megalopoli e a 6000 km da casa) ho inviato loro un email.

Non solo ho avuto subito la risposta ma è intercorsa, successivamente,  una fitta corrispondenza virtuale che, man mano, travalicava l’argomento meramente tecnico entrando in aree più personali e private che non potevano non finire nella promessa di un incontro, al mio rientro in Italia.

Durante la corrispondenza abbiamo scoperto molti punti di interesse, a partire dalla musica (sono anche musicisti), dall’amore per gli animali, per l’arte, per le moto, per i viaggi. E Giusy non si è mai risparmiata gli incoraggiamenti quando vacillavo e vedevo tutto difficile e oscuro…

L’incontro è avvenuto a Levico Terme, dove hanno l’attività di orafi da 20 anni (provenienti dal Friùli) e dove ho potuto vedere le meraviglie che crea Stefano e la nuova attività di Giusy legata alla trasformazione delle immagini fotografiche.

Alla sera abbiamo concluso la nostra giornata in un ristorante veg poco distante da Levico: Veg Point – Via Alberè 22 – Tenna (TN) – Tel 0461/700149.  E posso dire che anche questo incontro è stato estremamente ricco e positivo, concludendosi con questa intervista.

Stefano, da quando hai iniziato a interessarti di arte orafa?

Dopo le superiori (geometra) e un lavoro come aiutante elettricista, ho iniziato a frequentare un laboratorio orafo nel mio paese d’origine: Codroipo, in provincia di Udine. Qui ho assaporato il piacere del lavoro artigianale, e scoperto una vocazione per quest’arte. E’ strano perché non avrei mai pensato di lavorare nell’ambiente orafo: da un lato non avevo interessi di questo tipo, dall’altro avendo alcuni cugini a Valenza Po (in provincia di Alessandria, tra i più grandi poli orafi d’Italia  – l’altro è Vicenza) che lavorano come operai orafi in vari laboratori o ditte, avevo già catalogato quello come un lavoro settoriale, di pura manovalanza, non adatto a me. L’artigianato è tutta un’altra cosa: segui una creazione dall’inizio alla fine, godendo di tutti i passaggi e vedendola crescere tra le tue mani: è decisamente più soddisfacente e completo, come lavoro!

Chi è stato il tuo maestro (o la tua scuola)?

Non ho fatto scuole d’arte ne’corsi specifici di oreficeria; dall’orafo che ho frequentato al mio paese ho “rubato” molto con gli occhi, e quando mi ha fatto provare l’attività presso un suo collega a Udine, le basi venivano già da sole! Poi lì sono rimasto “a bottega” per parecchi anni e ho imparato l’arte orafa in tutte le sue sfaccettature. La scuola è sicuramente importante, ma non c’è niente di meglio che imparare direttamente sul campo. Tanto la creatività e l’estetica o le hai o non le impari con una scuola, mentre tutti i problemi tecnici che affronti in un laboratorio di creazioni e riparazioni ti preparano alla vita reale e alla possibilità di avviare con competenza un’attività in proprio.

Che cosa o chi, dal Friùli, vi ha spinto in Trentino?

Stefano: Il caso, come spesso capita. Siamo venuti  in ferie in zona per un paio di anni e il luogo ci è piaciuto: entrambi siamo appassionati di montagna, tanto da dedicarci poi a trekking e ferrate. Giusy si stava laureando senza avere prospettive di lavoro se non all’estero, mentre io, dopo tanti anni di lavoro sotto padrone, sentivo che potevo espormi in qualcosa di più personale.

Abbiamo scelto un posto non troppo dissimile dalla nostra pianura ma con tante montagne interessanti attorno, ci siamo lanciati e… eccoci qua! Nel 1992 abbiamo aperto il nostro Laboraotrio Orafo NIGI (www.nigilab.com). Giusy mi aiuta molto nella gestione dell’attività permettendomi di dedicarmi esclusivamente al lavoro “da banchetto” ma nel contempo si esprime anche lei realizzando alcuni modelli personali.

Cos’è che caratterizza le creazioni NIGI?

In Friuli ci sono parecchi laboratori orafi piccoli, per lo più a conduzione familiare, dove si realizzano gioielli secondo un’antica tradizione longobarda, ed è questa che ho sviluppato. I gioielli vengono realizzati con il metodo della “fusione a cera persa” (ossia si lavora prima la cera e poi la si trasforma in metallo) e vengono scolpite delle parti che successivamente non saranno lucidate: questo gioco di oro-lucido e oro-grezzo è tipico delle popolazioni antiche e in Trentino non si vedevano esempi di questo tipo. Abbiamo proposto questa nuova lavorazione


che ha avuto successo sia tra i clienti locali sia tra i turisti,  stranieri e italiani. Alcuni conoscono questa lavorazione con il termine di “oro etrusco”, anche se non sarebbe del tutto corretto in quanto i gioielli antichi di quella zona venivano realizzati con la tecnica della granulazione.

Comunque lavoro anche direttamente il metallo e con la fusione a cera persa realizzo anche gioielleria classica, tutta lucida.
Altre creazioni di Stefano:

So che partecipate anche a mostre, eventi ecc. Cosa ci racconti in proposito?

L’Associazione Orafi in Tentino è ben organizzata creando così eventi e mostre di ogni tipo. Periodicamente realizziamo quindi dei gioielli in tema per le varie mostre (www.nigilab.com/IN ), ma siamo stati inseriti anche nell’Annuario dell’Artigianato Artistico Italiano, nel 1997, e siamo stati segnalati al Premio ArtigiAno 2010 per “la capacità di tradurre in un gioiello la spiritualità di un gesto”: l’opera per il concorso era “Il Segno della Croce”, una croce realizzata con due fili contigui che seguono quel gesto sacro,
appunto: ora questo è il nostro prodotto di punta, quello che più ci caratterizza in zona.
Di tanto in tanto ci occupiamo anche di attività didattica ospitando scolaresche nel nostro laboratorio o eseguendo dimostrazioni pubbliche. Ho sempre amato divulgare il mestiere, spiegando ai clienti i vari passaggi delle lavorazioni e sviluppando un negozio con laboratorio a vista.

Adesso mi sto attivando per diventare Maestro Orafo, ma è un processo molto lungo, distribuito in più anni.

Giusy, tu sei laureata a Ca’Foscari in Lingue e Letterature Orientali e hai viaggiato molto in India. Che cosa ti resta di quell’esperienza sia di studio sia di vita?

Sono stati anni molto ricchi, a livello culturale. Ho sempre amato tutto ciò che è “lontano” e diverso, mi piace confrontarmi con culture alternative alla mia, e questo percorso didattico ha soddisfatto queste mie esigenze.

Studiando la filosofia e le religioni orientali ho imparato tante cose: confrontandole con la nostra cultura ho potuto notare come esistano delle Verità Universali, comuni a tutte le civiltà, e questo è ciò che più mi ha colpito e che si è “inciso” dentro di me influenzando tutto ciò che faccio ed esprimo nella mia vita. Non sono i numeri, i nomi e le date che ti arricchiscono come persona, ma i concetti sottintesi a quelli.

Che lingue hai imparato?

L’Hindi, la lingua principale dell’India (in quanto parlata nella zona della capitale) tra le 14 ufficiali nel subcontinente (alcune perfino con un alfabeto diverso!); un po’ di sanscrito, ossia la sua controparte antica, come il greco e il latino per noi europei; infine l’inglese, che ho specializzato in una facoltà parallela: sempre a Ca’ Foscari di Venezia ma alla facoltà di Lingue e Letterature Occidentali, per poter esercitare l’insegnamento, eventualmente. Ah, dimenticavo, il primo anno di studi ero iscritta ad Arabo, per cui ho iniziato a studiare anche l’arabo classico, il tunisino e il libanese, ma ora non li ricordo più molto.

Siete anche musicisti e il vostro gruppo si chiama Talking Sound.  Come è nata la vostra passione per la musica?

Giusy: la musica è stata la mia prima vera passione, ma la mia famiglia non l’aveva realmente capito per cui ho potuto dedicarmi seriamente allo strumento della chitarra solo in età avanzata (dopo i trenta) e una volta trasferitami in Trentino.
Ho preso lezioni dapprima da un vicino di casa, poi ho seguito i corsi di una scuola seria per qualche anno e infine – dopo alcuni anni durante i quali mi sono dedicata alle composizioni di canzoni proprie, suonato in una band al femminile e fondato un “duo elettrico” con mio marito, chiamato appunto Talking Sound –  ho preso lezioni private per un paio di anni sulla chitarra solistica rock e l’improvvisazione jazz. www.youtube.com/talkingsound1  www.myspace.com/talkingsound.
Con il duo ho dovuto anche cantare, per cui ho iniziato a prendere anche lezioni di canto, ma qui ho più lacune…

Stefano: io invece non avrei mai pensato di dedicarmi alla musica –nemmeno qui… mi sa che la mia vita è stata tutta una sorpresa! Ma vedendo quanto impegno ci metteva Giusy, ho detto, perché no? Qualcosa devo fare anch’io nel frattempo! Così ho studiato la batteria, dapprima nella scuola della banda locale, poi prendendo lezioni da batteristi molto conosciuti in zona. Quando il gruppo di Giusy si è sciolto abbiamo iniziato a provare in casa, dove abbiamo una sala prove, e visto che le cose funzionavano bene anche in due, abbiamo fondato questo duo elettrico e iniziato a suonare in giro le canzoni di Giusy, che è molto creativa, in questo senso.

Insomma: Giusy mi segue nell’attività lavorativa e io l’ho seguita nell’hobby della musica!

Che cos’è il “duo elettrico”?

Giusy: per duo, in musica, si intende ovviamente due strumentisti che suonano assieme. Quando c’è di mezzo almeno uno strumento elettrico, si può parlare di duo elettrico. Noi suoniamo la chitarra elettrica e la batteria, ma esistono duo simili in formazione basso-batteria. Siccome questa formazione non è effettivamente molto conosciuta (eccetto il caso dei White Stripes, probabilmente), e che a molti pare perfino una band “monca” in quanto mancante del basso o della chitarra, ho creato una pagina dapprima su Myspace, infine su Facebook dedicata all’argomento e l’ho chiamata Electric Duo Project. Su myspace (www.myspace.com/electricduoproject) ho radunato tutte le band che trovavo, a livello mondiale (mica tante eh, poco più di un centinaio!); le ho personalmente contattate, mi sono fatta inviare una biografia, foto videi e brani musicali che avevo raccolto e pubblicato in vari lettori e album, poi però c’è stato un cambiamento grafico di grande impatto nel social network e ho perso molto materiale. Non ho avuto più tempo per dedicarmi a quella pagina, che è quindi un po’ abbandonata e incompleta, ora.

Su FB ho invece realizzato una pagina in tema radunando le band italiane, e siamo ora tutti in contatto, scambiandoci date di concerti ecc. http://www.facebook.com/?ref=home#!/group.php?gid=173645233591

Infine per anni ho tentato di realizzare un festival in tema, contattando dei produttori  ma quand’era a buon punto è sfumato tutto per carenza di sponsor: eh questa crisi, non c’è settore che non colpisca!

Giusy, ora hai iniziato una tua attività creativa legata all’elaborazione delle immagini fotografiche. E l’hai chiamata Joy Arte Grafica. Innanzitutto, lo sai che ho chiamato  la mia cagnolina Joy  proprio ispirandomi al  nome che hai dato alla tua attività? Comunque, tornando alla tua arte, da cosa nasce questo interesse per la trasformazione delle immagini su tela?

Sì sì, mi ricordo, si chiamava Gaia ma l’entusiasmo per la mia nuova attività ti ha travolto così tanto che abbiamo condiviso questo splendido nome con le nostre passioni… Sai, certe cose nascono quasi per gioco: durante le lunghe serate invernali mi capitava di rimaneggiare un po’ di foto,  e così ho imparato ad usare con destrezza certi programmi fotografici. Esagerando con le elaborazioni ho visto che nascevano cose nuove, insolite ed interessanti, perfino lontane dalle immagini originarie, ed è stata proprio la sorpresa di veder nascere questi nuovi soggetti e le emozioni di gioia che mi comunicavano, che ho scelto questo nome: JOY.
Ora amo fotografare cose stranissime per poi vedere cosa se ne può ricavare.
Dapprincipio ho elaborato i soggetti astratti e i Daemon (nel senso greco del termine, ossia apparizioni di altri mondi che fungono da messaggeri tra gli dei e gli uomini), li ho stampati su pannelli forex (materiale leggero ma resistente, con la stampa direttamente su pannello, non carta fotografica incollata che poi col tempo cede) e decorato la nostra abitazione. L’interesse degli ospiti era sempre di sorpresa e di gioia, e alcuni di loro me ne hanno ordinato qualcuno. Da qui richieste di soggetti più vari e “comprensibili” come fiori, animali ecc. e quindi mi sono lanciata “sul mercato” elaborando soggetti vari.
Ecco alcune creazioni di Giusy

Se qualcuno volesse vedere le tue opere, dove le trova? E come fa ad acquistarle?

Siccome ho iniziato da poco l’attività, per il momento ho realizzato una semplice pagina facebook (www.facebook.com/joyartegrafica); cliccando su “foto” appaiono degli album suddivisi nei vari soggetti del catalogo. Se interessati basta inviare un messaggio o scrivere a joyartegrafica@teletu.it

Intanto ti ringraziamo per l’interesse, la tua disponibilità nei nostri confronti e il bel lavoro che fai con questo blog. E’ stato un piacere essere intervistati da te!

Ringrazio Giusy e Stefano per il tempo che mi hanno dedicato e per la passione che mi hanno trasmesso, ascoltandoli.

Dedico a loro questo bel blues: il grande BB King in Blues Boys Tune


Serata al Blue Note


Qualche sera fa, sono stata al Tempio milanese del Jazz, grazie alla vincita di due biglietti con una semplice telefonata a Nick The NightFly  conduttore del programma “MonteCarlo Nights”, su RadioMonteCarlo.
Non ho mai vinto niente ma questa volta posso dire che la fortuna  mi ha baciato.
E che serata! La tromba di Paolo Fresu

e il piano di Omar Sosa (la sciarpa era bellissima)!!

La fusione di due isolani (Paolo Fresu è sardo e  Omar Sosa è cubano) ha creato un vincente mix di jazz, musica cubana, Africa e world music. Mediterraneo e Caraibi.
Una serata di energia, poesia e spiritualità, musica elettronica e jazz ha identificato questa loro avventura nata quasi per caso, otto anni fa, in occasione del Festival che tutti gli anni Paolo Fresu organizza a Berchidda, in provincia di Olbia-Tempio.
Quell’incontro ha suggellato un’amicizia profonda e l’inizio di una comunione artistica che non si è più fermata.

Il nuovo disco è Alma, un album che conferma  la poesia e la sintonia che scaturisce dai due artisti quando suonano insieme. Osservarli intensamente mentre suonavano dava la sensazione della complicità e della grande intesa stabilita tra loro che si riconosceva dai sorrisi ammiccanti che si scambiavano, come se, nonostante la distanza sul  palco, ballassero insieme.

Il Blue Note di Milano è chic, è comodo e, pur essendo grande, dà la possibilità di godere di una buona visione e di un’ottima acustica da qualsiasi angolo.
Il Blue Note di New York, nonostante la grande fama e l’indiscusso fascino che suscita, è piccolo, sempre affollato e, se non si ha la fortuna di acquistare dei biglietti davanti al palco, non offre né un’ottima acustica né una buona visione e si rischia anche di stare in piedi.
L’ultima volta eravamo appollaiati al bancone del bar da dove non si vedeva il palco.
Per chi passa da Milano, e ama il jazz, il Blue Note è una meta imperdibile, specialmente da quando ha chiuso il mitico “Capolinea“, storico tempio del jazz milanese.

RadioMonteCarlo è la radio ufficiale del Blue Note e ogni giovedì, dopo le 22:00, trasmette la diretta dal locale.


Intervista a Nina Zilli

Nell’atmosfera un po’ rarefatta dell’auditorium della FNAC di Milano, Nina Zilli ha tenuto  15 giorni fa, uno show case per il lancio del nuovo CD “L’amore é femmina” che contiene la freschissima performance di Sanremo “Per sempre” .


Quale occasione migliore della ricorrenza dell’8 marzo per pubblicare questa intervista?
Tantissima gente, soprattutto giovani che, rispetto alle atmosfere retrò amate dall’artista, sono una piacevole sorpresa.

In formazione acustica, voce e pianoforte, Nina ci ha regalato momenti molto intensi e ha dato prova di una raffinata potenza vocale. E non é così consueto trovare un tale equilibrio tra potenza e raffinatezza. Molte cantanti moderne, tra le quali anche la vincitrice del festival di Sanremo, confondono la potenza con il volume e il risultato che ottengono é urlare.
Nina Zilli è nome d’arte. Nina in onore della grande Nina Simone e Zilli è il cognome della mamma.

Di te hai detto, in una recente intervista, che sei laureata in “stronzologia”.
Seriamente, sappiamo che sei laureata allo IULM, in Relazioni Pubbliche.
Dacci, quindi, una lettura sociologica di Sanremo.

Sanremo é veramente un’ esperienza fortissima per chiunque. É un vero schiaffo. In un contesto completamente diverso da quello che si vede in TV. É un teatro piccolissimo, un palco microscopico ma queste caratteristiche sono anche il suo punto di forza.
Infatti ti sembra di essere letteralmente immersa nell’orchestra, una sensazione difficile da provare altrove, e il pubblico ti sembra sistemato su di una parete verticale davanti a te.

Il resto é follia pirotecnica. Ti dico solo che per gli artisti ci sono solo cinque camerini, quindi ti lascio immaginare il turbinio di volti, voci e colori. Il vero miracolo é che funziona tutto. Io ho condiviso gli spazi con i Marlene Kuntz e con i Matia Bazar ma in generale tra tutti gli artisti c’era un bel clima di collaborazione.

Anche con le altre ragazze in gara c’é stata un’atmosfera soprattutto di divertimento. Tra tutte mi posso considerare la vincitrice immorale di Sanremo!

Stasera presenti il tuo nuovo disco, prodotto da  Michele  Canova. Cosa ci puoi dire?

É un lavoro bello, a cui tengo molto e la collaborazione con Canova ha prodotto qualcosa di originale e dalla qualità degli arrangiamenti molto elevata.

Pensa che tra i due la vecchia sono io!

Io ho curato in particolare gli arrangiamenti soul e R&B, mentre lui ha aggiunto l’elettronica.

Tra poco comincerà anche il nuovo tour per il nuovo disco. Sei contenta di partire?

Un casino! In tour ci divertiamo tantissimo, suoniamo la melodica e cantiamo i cori alpini. Poi ogni concerto é una festa, anche perché suoniamo in una dimensione che ci fa stare molto vicini al pubblico.

Domanda scontata ma mirata: progetti per il prossimo futuro?

Eh, eh! Lo sapevo… Sí, in TV con Giorgio Panariello. Sembra strano vero? Eppure lui mi ha chiamata, mi ha raccontato del progetto di fare delle serate modello “Studio Uno” o “Canzonissima” e mi ha detto: “Voglio che tu venga a fare Mina per me”.

Dapprima ho capito che dovevo imitare Mina, poi mi ha spiegato meglio il progetto e ho accettato con entusiasmo perché si tratterà di affiancarlo, esattamente come faceva Mina con Walter Chiari, con Celentano o altri artisti di quegli anni. Saranno quattro puntate di lunedì (come Fiorello) su Canale 5 a partire dal 5 marzo. Sarà stupendo, con la grande orchestra di Micalizzi dal vivo. Hai presente? Quello delle colonne sonore dei film degli anni settanta tipo “Milano violenta”… Molto funky!

Perché hai intitolato il disco “L’amore é femmina”? In un clima di politically correct non rischia di passare un messaggio diverso dell’ambivalenza dell’amore?

Ma no! É un gioco. Del resto da Catullo a Ramazzotti d’amore ne parlano solo gli uomini.

Mi piaceva questo gusto un po’ retro della affermazione e poi nel titolo c’é il maschile e il femminile: amore é maschile, femmina é femminile!

Sarà per la pettinatura con cui ti sei presentata a Sanremo, ma molti hanno letto un segno di un tuo omaggio ad Amy Winehouse.

Amy é stata grandissima! Ha puntato il faro su Detroit e Memphis e dobbiamo dirle grazie perché il soul senza di lei non sarebbe esploso.

In realtà, però, cantiamo in modo molto diverso anche se i riferimenti sono comuni: Otis Redding e la Motown.

Una delle canzoni del tuo ultimo album l’ha scritta Carmen Consoli. Chi ha scelto chi?

Non poteva mancare un segno della cantantessa, con cui sono molto amica. É stato facilissimo: le ho mandato via web un provino in inglese e lei lo ha restituito in un batter d’occhio in italiano con un testo originale. Si capisce al volo la differenza tra il suo testo e i miei… Grandissima!

Va di gran moda il duetto. Sanremo ha dedicato una serata ai duetti italiani e una ai duetti stranieri. Con chi ti piacerebbe cantare? Canteresti anche con la Pausini?

Per carità, non sono per ghettizzare la musica! A me va bene reinterpretare qualunque cosa. La Pausini poi ha una voce veramente bella e potente. L’ho vista in uno speciale su SKY dove interpretava standard jazz e blues. Be’ ti posso assicurare che la Pausini che canta jazz é impressionante!

Sei stata scelta dalla giuria speciale per rappresentare l’Italia a Eurovision. Sei contenta?

Sono onorata! Veramente! Non se ne sa molto, ma Eurovision é una manifestazione importantissima in Europa, é seguita da milioni di persone.

Ma il mio sogno resta quello di lavorare in TV con due amici, non posso dirti chi. Ti dico solo due amici musicisti della TV…

Alla fine Nina ci ha regalato due perle, per salutarci: ” Per sempre” e “50mila”.

Grazie Nina e stay soul!

Dedicato a Nina Zilli: Chet Baker in “Almost blue” e un mazzo di mimose della mia terrazza ligure.


Intervista a MarthaJ, cantante jazz

Ho conosciuto MarthaJ  di persona, alcuni anni fa, grazie a conoscenze comuni ma non ci siamo mai frequentate e mai più  incontrate.
La conoscevo come cantante di un genere che non incontra il mio gusto ma, sapendo che avrebbe partecipato al festival di Sanremo la seguii in TV. In fondo era una persona che conoscevo e mi faceva piacere dedicarle tempo. Nonostante il contesto, apprezzai la sua voce, certa che potesse sviluppare timbri più vicini ai canoni da me apprezzati.
Il caso, anche questa volta, mi è venuto incontro e mi ha fatto ritrovare MartaJ, di persona, a pochi metri da casa mia. La piacevole sorpresa è stata scoprirla nel firmamento jazz genere che, come noto, accompagna la mia vita e che, purtroppo,  in Italia è ancora di nicchia. Per intenditori…….
Le ho chiesto, quindi, se fosse disponibile a un’intervista per il mio blog.
Quando e come hai incontrato la musica?
Fina da piccolissima (2 o 3 anni) la musica mi ha sempre interessato, rubavo a mio padre i 45 giri di Fred Buscaglione per metterli nel mio mangiadischi. Credo anche di aver cantato da sempre: la mia maestra delle elementari conservava una cassetta in cui c’ero io che cantavo.
Circa in terza elementare ho iniziato lo studio della chitarra classica, che ho lasciato dopo un anno circa: l’insegnante disse a mia madre di non mandarmi più a lezione perché secondo lui io non ero portata per la musica.
Io però ho continuato a suonare la chitarra per conto mio: alle scuole medie ho avuto una botta di Beatles-mania (credo che venga a molti da ragazzini, una specie di morbillo!) e sapevo suonare e cantare tutte (ma proprio tutte!) le loro canzoni. A tredici anni, cantavo con degli amici sulla spiaggia e uno mi ha detto: “Ma lo sai che tu canti come Joni Mitchell?”. Io non sapevo chi fosse e ho cercato i dischi di questa cantante canadese, di cui mi sono innamorata subito. Anche di lei, ho imparato a cantare e a suonare tutte (quasi) le sue canzoni!
Nel frattempo, ho iniziato a conoscere anche altri cantautori americani: Bob Dylan, James Taylor, Tom Waits… E più avanti ho conosciuto il jazz: il primo disco di jazz che ho sentito era un live di Ella Fitzgerald al festival di Montreaux. Sono rimasta folgorata e da allora il jazz non è più uscito dalla mia vita.
Vieni da una famiglia di musicisti?
No, nessuno in casa mia suona strumenti musicali. Però è una famiglia “musicale”: mia mamma ha costantemente la radio accesa e mio padre ha sempre amato la musica e spesso cantava, anzi cantavamo tutti insieme.
So che nel nostro paese vivere di Jazz è difficile. Canti solo jazz o hai dovuto accettare qualche piccolo compromesso, tradendo il jazz?
In Italia vivere di qualsiasi genere di musica è difficile! Se pensi che la paga minima sindacale è di 40,62 euro lordi (il netto è 32,50 euro)… questa paga si riferisce anche a musicisti che suonano in orchestra (diplomati in conservatorio ecc ecc), sia per gli spettacoli che per le prove. Fa ridere, vero?
Comunque tornando a noi: in passato ho avuto l’occasione di registrare album per delle major (PDU/EMI) e di partecipare a festival importanti (o meglio, di grande visibilità) e il repertorio ovviamente doveva rispecchiare le richieste della casa discografica.
Non è stato semplice, anche perché io credo di non essere affatto capace di cantare bene il pop italiano. Soprattutto non è stato semplice cercare di essere quello che non sono, ma tutti mi dicevano che era un’occasione da non perdere, che poi le cose sarebbero cambiate, che in ogni caso ne valeva la pena eccetera eccetera.
In effetti qualche risultato c’è anche stato, anche se non eclatante, ma sempre di più il mondo della musica pop mi stava stretto, quindi ho mollato tutto: ho rotto tutti i contratti e addio per sempre! Così sono diventata un’artista indipendente. E devo dire che sono contenta: ho avuto moltissimi riconoscimenti, nonostante i budget risicati e la mancanza di un’organizzazione che sostiene il mio lavoro (booking manager e ufficio stampa, per esempio).
Sara Vaughan, Billie Holiday, Ella Fitzgerald, Nina Simone, Diana Krall, Patrizia Laquidara, Simona Molinari……..Qual è la tua musa ispiratrice?
Devo dire che i miei riferimenti sono sempre stati rivolti al passato, quindi Billie Holiday ed Ella Fitzgerald principalmente. Quando ho iniziato a cantare jazz, ho studiato moltissimo, più di tutti gli altri, il modo di cantare di Chet Baker. Ho ascoltato anche molto Nat King Cole.
Per l’improvvisazione, non mi baso su quello che fanno i cantanti (a parte Ella Fitzgerald!), ma sulla improvvisazione di musicisti (ad esempio, ancora Chet Baker): infatti ho studiato e studio improvvisazione con un sassofonista (e non con un insegnante di canto).

Che tipo di orchestrazione preferisci per la tua musica? 
Mi piacciono sia le atmosfere delicate del duo voce e piano, sia quelle più robuste del quartetto. Dal vivo, propongo la mia musica sia in duo (voce e piano), con un Acoustic trio (voce, piano e contrabbasso), con un ElekTrio (voce, tastiere e batteria) e ovviamente anche con il quartetto.
Per ora il quartetto ha rappresentato lo sfondo più utilizzato per i miei album: il primo cd con gli standard jazz (“That’s It!”) era in quartetto: Francesco Chebat, piano – Roberto Piccolo, contrabbasso – Stefano Bertoli, batteria.
Era il 2008 e avevamo prenotato la sala d’incisione per tre giorni. Dopo un giorno e mezzo avevamo già registrato tutti i brani del cd, così siamo rimasti in sala io e Francesco e abbiamo fatto un altro cd, piano e voce, che è uscito contemporaneamente a That’s it” e si chiama “No One But You”.
Le critiche sono state molto favorevoli e questo ha spinto me e Francesco a scrivere 11 brani per un nuovo cd: “Dance Your Way to Heaven” che è uscito nel 2010, sempre con il quartetto.
Il prossimo Febbraio/Marzo sarà disponibile un nuovo album: “Harlem Nocturne”, dedicato ancora agli standard del jazz, questa volta arrangiati secondo il nostro stile e sempre eseguiti in quartetto.

Il fenomeno Amy Winehouse ha portato un po’ di jazz e R&B nel pop. Cosa ne pensi?
Penso che era bravissima, che alcuni suoi brani sono da manuale e che rimarrà un’icona indimenticabile della storia della musica.
E’ incredibile perché se ascolti i suoi cd (non l’ultimo uscito postumo, che mi sembra un po’ così così) non c’è davvero niente di innovativo: ogni brano propone un clichè musicale del mondo R&B, ma così ben fatto e cantato con così tanta originalità che il successo è stato meritato. Impossibile copiarla!
Giovanni Allevi racconta, nel suo libro “La musica nella testa”, di aver bussato al Blue Note di New York fino a che non lo hanno fatto esibire. Pensi che in Italia possa funzionare?
Boh! non ho mai bussato al Blue Note: ci provo e ti faccio sapere!
Secondo me questa di Allevi (come tante altre sue frasi e come anche la sua musica) è una bella trovata che fa colpo, ma non è reale. Non serve a nulla fare una serata in un locale importante, se non hai alle spalle la qualità della musica che proponi, il talento, il lavoro e la fatica… e anche un’organizzazione che promuove efficacemente la tua musica nei canali giusti, l’ocasione di farti sentire anche in radio, eccetera eccetera.
Insomma, una serata al Blue Note non cambia la vita! 🙂
Quali sono i tuoi hobby?
Non ho molto tempo per gli hobby. Leggere può essere considerato un hobby? Leggo tantissimo, romanzi principalmente. Sono stra-fan di Stefano Benni, Daniel Pennac, Fred Vargas… e mille altri che non mi vengono in mente ora.
Una cosa a cui non rinuncio MAI è il mio appuntamento settimanale con lo yoga.
Io sono vegan, per motivi etici. Che tipo di cucina apprezzi?.
Io mangio un po’ di tutto, non seguo una dieta particolare. Mangio pochissima carne, molta frutta e verdura e pasta. Adoro le minestre e la polenta (anche d’estate) e la pizza!
Con il mio lavoro, sono spesso in giro e ho l’occasione di assaggiare piatti diversi, spesso tipici dei luoghi dove mi trovo e questa cosa di assaggiare, provare, sperimentare gusti nuovi mi piace molto.
Non amo i dolci, mi piace il vino, specie rosso e specie quello del nostro nord-est (vini veneti e del trentino). Adoro lo champagne, ma, visto che da qualche tempo abito in zona, sto iniziando ad apprezzare il nostro prosecco.
Non so se riuscirei a seguire una dieta vegan: forse riuscirei a rinunciare a carne e pesce (che già mangio raramente), ma non so se riuscirei a fare a meno di uova e formaggio per esempio.
Grazie MarthaJ!  GO JAZZ!!
Naturalmente sto ascoltando  MarthaJ in The never ending dance.
Per chi vuole scoprire la discografia di MarthaJ, clicchi QUI

Serendipity


Ne sentii parlare per la prima volta durante i miei studi universitari.
Ne rimasi subito calamitata e affascinata anche perché nell’interpretazione e nel significato di quel termine mi ci sono subito riconosciuta.
Rappresenta il pensiero e la vita nomadi che non mi abbandonano mai.
E’ cavalcare l’onda lasciandosi trasportare ma è anche osservare il surfista.

Serendipity è un nome coniato dallo scrittore Horace Walpole che  lo scoprì leggendo la fiaba di Cristoforo Armeno “I tre principi di Serendippo”.
La fiaba è bellissima e merita un’attenta lettura. Ed è pure divertente.
Narra il viaggio di tre principi che descrivono situazioni e vicende non vissute ma che, attraverso l’osservazione, il caso e l’intuito  riescono a far credere (e convincere) di aver vissuto.
Serendipity è trovare cose che non si stavano cercando. E’ percorrere un viaggio senza schemi, lasciandosi abbandonare all’imprevisto, al caso, al fascino del mistero.
E’ aprirsi al nuovo, assecondare l’avventura, la capacità di osservare e di ascoltare.
E’ l’apertura verso i cambiamenti e gli atteggiamenti, con la giusta audacia, senza paura.
E’ sbagliare strada senza sentirsi smarrito e scoprire cose interessanti e importanti nel nuovo cammino. E farne tesoro.
Julius  H. Comroe, ricercatore americano, disse che “Serendipity is looking in a haystack for a needle and discovering a farmer’s daughter” (1976) – Serendipity è cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino.

E  questa immagine, grazie alla sua originalità,  è estremamente esplicativa.

Ho notato tanti locali con il nome suggestivo di  Serendipity. Chissà se evocano lo stesso significato.
C’è persino una gelateria, qui a New York, che fa un tipo di gelato da 1000 dollari (proprio mille dollari).
Pare sia  fatto con la polvere d’oro. Un vero gioiello….
Andrò nei prossimi giorni a curiosare, senza assaggiare il gelato, ovviamente, e  scriverò qualche osservazione, se merita che vi dedichi del tempo.

Oggi la mia insegnante di lettere, al liceo, avrebbe compiuto 90 anni. Oltre a essere stata una donna di grande sapienza e immensa cultura aveva le doti dei grandi: l’umiltà.
Se ne è andata nel 2006. Ciao Prof.!
A lei devo la mia passione per le lettere e per la storia della lingua italiana.

Sto ascoltando un musicista jazz antipatico e scontroso ma geniale e irresistibile.
Da un gigante del jazz si accetta tutto. Keith Jarrett in “The Koln concert

PS: le foto le ho scattate a Maui nel febbraio scorso.


Per Amy il giorno del suo compleanno

Oggi Amy  Winehouse avrebbe compiuto 28 anni.
Sto ascoltando i Pink Floyd, in “Wish you were here


Return to forever IV

“New York is the center of universe”  così Lenny White, newyorchese doc, ha concluso la sua presentazione al concerto – evento a cui abbiamo avuto la fortuna di assistere sabato sera.

Sicuramente si riferiva alla scena musicale, scelta dai “Return to Forever IV” (RTF-IV) per la partenza del loro nuovo tour mondiale, per celebrare la reunion del mitico gruppo fusion degli anni 70.

Certo, ogni tanto ci soffermiamo a riflettere sul fatto che amiamo in particolare la musica nata in quegli anni, e anche qualche anno prima…, ma concludiamo che, a parte le nostre personali ragioni anagrafiche, quella stagione è stata la più vivace dal punto di vista sociale e musicale.

RTF è un gruppo nato nel 1971, fondato da Chick Corea (pianista oggi settantenne) con altri mostri sacri provenienti dal mondo del jazz e che si proponeva appunto di innovare il jazz standard attraverso la contaminazione con nuovi strumenti elettrici ed elettronici, nonché con sonorità e ritmi provenienti in particolare dal Sudamerica.

Della prima formazione fecero parte Stanley Clark al basso, Airto Moreira batteria e percussioni, Joe Farrell sax soprano e flauto e la voce cristallina di Flora Purim.

Sabato sera della formazione originale c’erano solo Chick Corea e Stanley Clark, in forma strepitosa, ha giganteggiato (non solo perché è alto quasi due metri).
        

Poi Lenny White alla batteria, Frank Gambale alla chitarra e Jean Luc Ponty al violino.

Devo dire che l’electric jazz non è in cima ai miei generi preferiti ma il concerto è stato veramente adrenalinico e consiglio a tutti di intercettare, se possibile, un data del tour mondiale.

Era vietato fare foto e riprendere, ho trovato però su YouTube questa clip del concerto di Sidney che è quella che si avvicina di più (la formazione era la stessa):http://www.youtube.com/watch?v=F9fxAiLK9bc&feature=related.

Ormai la diffusione degli smartphone rende inutili questi divieti e ciò che ne risente è soprattutto la qualità, purtroppo.

Per la cronaca, ma solo per quella, ho l’obbligo di riportare che il concerto dei RTF è stato preceduto da “Zappa plays Zappa” un concerto di Dweezil Zappa, figlio del compianto Frank, che ha suonato musiche del padre.

Io consideravo e considero tuttora Frank Zappa un simpatico pazzo, mentre Seb lo considera “il più grande compositore del ‘900”.

Si era sciroppato da giovane trasferte incredibili per andare ai suoi concerti in mezza Europa.

Quindi la citazione  è solo un segno di rispetto verso il mio maritino che era, incredibilmente, visivamente emozionato…boh?!

Devo ammettere però che hanno suonato bene, in una formazione un po’ complessa con vibrafonista, tastierista, due fiati (una donna al sax, viva le donne musiciste!), batteria, basso e due chitarre.

E ora qualche nota sociologica, come di consueto.

Intanto ho avuto l’ennesima conferma che i soldi spesi per uno spettacolo negli Stati Uniti sono sempre ben spesi.

Abbiamo assistito a un’ infinità di spettacoli e concerti in giro per il mondo, in primis in Italia ovviamente, ma la qualità di ogni genere di spettacoli negli States è altissima.

Abbiamo acquistato i biglietti più economici, adatti alle nostre tasche un po’ tartassate ultimamente, e ci siamo seduti nella seconda balconata dicendoci: “vabbè, l’importante è ascoltare…”.

Invece la visuale era ottima e, soprattutto, l’acustica eccellente perché erano installati diffusori e ripetitori ovunque, anche sospesi al soffitto del teatro proprio di fronte a noi.

Al Blue Note, per fare un esempio, c’erano diffusori anche nei bagni!

Le band non si sono risparmiate, Zappa ha suonato un’ora e un quarto e RTF per più di due ore; entrati in teatro alle 8, ne siamo usciti a mezzanotte!

La cosa che amo di più è la totale informalità del pubblico americano che va a teatro con lo spirito di chi va a fruire di una rappresentazione e ci va per divertirsi, non per apparire o sfilare. Tutti in piedi a ballare, giovani e vecchi, tutti un po’ bambini ‘sti americani.

L’altro elemento che apprezzo tantissimo è l’organizzazione: si va in un paese straniero, in un luogo sconosciuto (che sia il Madison, un teatro, uno stadio) e si è seguiti e accompagnati al proprio posto senza dover piroettare tra i corridoi smarrendosi.

E questo avviene per qualunque genere di spettacolo, dalla serissima performance teatrale allo sgarrupato concerto nello stadio.

In settimana vorremmo andare a vedere un musical a Broadway approfittando degli sconti del 50% che si hanno acquistando il biglietto in giornata o per la matinée presso  questi due sportelli.
A quello del South Street Seaport il tempo di attesa è dimezzato, rispetto a quello di  Times square.

In cartellone ci sono decine di spettacoli, non abbiamo ancora deciso. A presto!!