
Come inizia la mia giornata newyorkese feriale? Innanzitutto inizia con un brano di jazz dal Mac.
Ascoltando il sax di Branford Marsalis trio in “Cherokee” mi preparo per raggiungere l’indirizzo della foto di apertura.
Tralasciando le normali attività quotidiane del dopo risveglio, che tutti compiono, indugio sulla prima piacevole azione della giornata: la colazione.

Non è tutti i giorni uguale ma, spesso, un fresco frullato di fragole, preparato con latte di soia, è un piacevole inizio, specie in queste giornate calde.
Ma non mi fermo qui perché per me la colazione è un vero rito, irrinunciabile.
Mi è difficile, infatti, capire coloro che fanno colazione al bar.
Continuo con fette di pane tostato, spalmato di ricotta di soia autoprodotta e marmellata di mirtilli.
Una mug di caffè aromatizzato alla vaniglia o alla nocciola (preparato con la moka) e allungato con un po’ d’acqua bollente è il tocco finale.
Successivamente mi collego a skype per salutare Seb, mio marito o Barbara, mia figlia. Le 6 ore di fuso non ci consentono grandi possibilità di scelta di orari. Sto con loro una mezz’oretta e parlare con loro mi fa iniziare bene la giornata.
Preparo lo zainetto con le cose necessarie per la giornata lunga fuori casa, senza dimenticare la schiscetta (per i non milanesi: è il pasto preparato a casa che si porta, in un contenitore, al lavoro).
Qui mi sbizzarrisco:
Riso con tempeh e fungo portabella grigliato e un involtino di cavolo verde (collard) con riso. Mi fa ridere chiamarlo portabella ma sulla confezione c’è proprio scritto così:
Comunque, al di là del nome, è buonissimo.
Mi piace talmente tanto che a volte la mia schiscetta è questa:
Un veg-hamburger con lattuga, cipolla, pomodoro e ketchup contenuto in due funghi invece che nel classico bun.
Ma anche il calzone (autoprodotto) fa parte dei menu da schiscetta:
Mi sono inventata una variante, nell’impasto, aggiungendo un bel cucchiaio di concentrato di pomodoro e un cucchiaino di origano. La farcitura: ricotta alle erbe (autoprodotta) e pomodoro.
Pronto lo zainetto, esco di casa, un appartamento che si trova all’East Village.
Questo è l’atrio
E questo il portone
Mi dirigo verso la fermata dell’autobus e,
da quando salgo, osservo.
New York è veramente una città per curiosi come me. Anche l’autobus è un buon punto di osservazione.
Questo è un passeggero speciale, pure un po’ vanitoso. Si è messo in posa.
Nel tragitto, ancorchè brevissimo, da casa alla fermata, continuo a osservare e può capitare che incontri anche

cani in versione micro
o in versione macro.
Durante il tragitto, da casa al centro, impiego il doppio del tempo necessario perchè mi fermo a fotografare, osservare, annotare. In continuazione.
Qualche giorno fa ho incontrato questo ragazzo che fissava l’interno di un cartone.
Incuriosita, mi sono fermata a chiedergli di che si trattasse.
La risposta è stata questa.
Mi ha raccontato di essere canadese, in partenza di lì a poco per il suo paese, di aver trovato questo gattino abbandonato, di averlo raccolto, nutrito e di volersene occupare portandolo in Canada in auto (forse in aereo avrebbe qualche problema). Gli ho raccomandato di non abbandonarlo mai.
E’ stato un piacevole incontro che non dimenticherò.
Mi capita anche di imbattermi in un set televisivo.
O di vedere, sui trampoli, una ragazza che si riposa.
O una ragazza che, passando davanti a un musicista, si mette a ballare.
Ma il tempo corre veloce e io devo andare al mio corso di gioielli a cui tengo tantissimo.
Un ritardo di 10 minuti costa un quarto di giornata di assenza. Durante il corso si possono fare al massimo tre giorni di assenza. Questo è il regolamento. E questa è l’America che mi piace.
Quindi mi affretto per arrivare puntuale.
Arrivo alla sede della scuola e saluto Charles, il ragazzo addetto alla security.
Prendo l’ascensore e, controllando sempre l’orologio,
arrivo all’ingresso del centro che si trova al terzo piano di un edificio della Midtown, sulla 31esima.
Entro in aula, ancora vuota….
….che di lì a poco si riempie
Il mio banco – 1
Il mio banco – 2
Si comincia a lavorare – La fusione
La zona saldatura
Compagna di corso alla saldatura
Stampo di un gioiello
Alle 13 è l’ora della pausa. Con la mia lunch box esco e scelgo un’area tranquilla. Può essere questo giardinetto, di fronte alla facoltà di medicina della NYU, sulla 28esima
oppure quest’area attrezzata e libera di fronte a Macy’s, sulla 34esima.
Alle 14 rientro in aula, puntuale…
….per una spiegazione alla lavagna o per continuare il progetto in corso.
Alle 17 “suona la campanella” ma mi fermo sempre 30-40 minuti in più, visto che è concesso, per portarmi un po’ avanti. Trattandosi di lavori, talvolta difficili, da eseguire con pazienza, a volte mi capita di sbagliare.
Una saldatura fatta male, per esempio, può rovinare il lavoro di un’intera giornata. E allora devo rifare tutto. E la quantità dei progetti la devo rispettare se voglio la certificazione finale.
Senza tralasciare la qualità. Qui le raccomandazioni non esistono. E la mia certificazione sarà per merito.
Tornando a casa me la prendo un po’ più comoda, non avendo orari da rispettare, nemmeno quelli dei negozi che qui sono aperti fino a tardi 7 giorni su 7, a volte 24 ore. Anche questa è l’America che mi piace.
Vado a fare la spesa da Whole Food in Union square che è sulla strada di casa.
Compero prodotti sfusi
ma anche confezionati come questi
o questi.
Riprendo l’autobus per tornare a casa
con le borse della spesa.
Vedo una Ducati e, anche se non è come la mia, è sempre arte in movimento e la fotografo.
Passo davanti al portone dove c’è sempre questo bel gattino.
Mi imbatto nei pompieri in azione
In una signorina sui trampoli. Come farà a camminare?
In un carrettino di bibite e pretzel.
Arrivata a casa controllo la cassetta della posta. Il metodo di organizzazione delle cassette e di recapito non è come da noi dove c’è una feritoia nella quale il portalettere inserisce la corrispondenza.
Qui non ci sono feritoie (come si vede dalla foto in alto dell’atrio).
Le cassette sono chiuse e, all’esterno, non c’è il nome ma il numero dell’appartamento. Il nome è all’interno della cassetta. Strano, vero?
Il postino apre la cassetta (evidentemente con un pass, altrimenti dovrebbe girare con una valigia di chiavi) e inserisce la posta.
Se il mittente non scrive il numero dell’appartamento, il postino non sa dove inserire la posta e, di conseguenza, è costretto ad appoggiarla sopra le cassette. Non tanto a malincuore, credo.
Infatti, può anche capitare che, pur essendoci l’indirizzo completo, il postino lasci la posta appoggiata sulle cassette, per negligenza, per incuria.
E’ capitato a me con una lettera importante della banca che conteneva il mio bancomat.
Salita in casa appoggio la spesa sul tavolo per organizzare lo smistamento.
Poi, sfinita, mi rilasso sul divano, per una mezz’ora, ozio puro, sguardo al soffitto, pensieri nomadi, più che mai.
Dopo cena, talvolta, vado in un piccolo bar, vicino a casa, che ha la wifi (e di cui vi parlerò in altro post)

e mi bevo un caffè freddo alla nocciola con latte di soia, a volte accompagnato da una fetta di torta al cioccolato, vegan. E resto finchè il locale non chiude, alle 23. E’ a 100 metri da casa e non ho paura a tornare a piedi da sola. Mi è capitato di collegarmi , a ore assurde (italiane) con Flavia via skype in video e di farle vedere gli avventori del locale, tra cui un poliziotto che l’ha salutata oppure con Alberto e chattare e ridere come matti.
Per lui, da casa, nessun problema ma per me, in un bar, il timore che mi venissero a prendere a sirene spiegate, vedendomi ridere sonoramente guardando uno schermo, è sempre stato in agguato.
Naturalmente scherzo, perché nessuno ti giudica e ci si sente liberi di agire come si desidera.
Arrivata a casa mi preparo per andare a dormire ma, prima di addormentarmi, leggo qualche pagina di “Se niente importa” di Jonathan Safran Foer. L’ultimo pensiero è per l’indomani che, pur con alcuni programmi fissi, mi riserverà sempre delle sorprese.
Questa è New York e io la amo alla follia.
2-Continua
Il numero 1 lo trovate qui