Archivi del mese: novembre 2011

Coscienza o finto moralismo?

Ascoltando il grande Jimi Hendrix in Cocaine  penso al mio chiodo, in pelle nera, per anni oggetto di un desiderio incoercibile, alimentato dal fascino che subivo di Marlon Brando che lo indossava alla guida della sua Triumph Thunderbird 6T sulle strade della California  nel film  “Il selvaggio” (The wild one – 1953).  Io, motociclista e ammiratrice del fascinoso attore americano, quell’indumento leggendario  simbolo di trasgressione e di rottura, ricco di appeal  e storia ma anche pratico e funzionale, comodo e caldo, lo volevo a ogni costo. E volevo proprio quello, stesso modello (Perfecto) e stessa marca (Schott).  Nel 1994 lo comprai a New York, da Dave’s,  dopo una lunghissima e affannosa ricerca nei negozi della Grande Mela.

Ricordo ancora, nel negozio, la locandina del film sul muro. L’ho indossato per quasi 13 anni, con voluttà,  senza mai saltare una stagione come può capitare con altri indumenti,  intenzionalmente dimenticati per qualche anno e poi nuovamente indossati.  E ogni anno l’uso lo rendeva sempre più bello.
Un giorno, in piena  condivisione dell’etica vegan, quel chiodo dai mille significati simbolici e  tanto desiderato mi è apparso come ciò che era: un animale ucciso, una pelle “indossata” da una creatura sacrificata per soddisfare anche i miei desideri. Non sono più riuscita a indossarlo ed è là da allora, tradito.

Che fare degli indumenti, oggetti, complementi d’arredo, accessori di origine animale acquistati prima di abbracciare l’etica vegan?

Questo è il problema di coscienza che mi pongo da 5 anni a questa parte, ogni volta  che utilizzo uno di questi oggetti.

Alcuni di questi, dalla vita relativamente breve, come scarpe e borse  in pelle, maglie o indumenti in lana e seta,  li ho utilizzati e altri li utilizzerò fino alla loro usura ma è per quelli dalla vita sempiterna  che mi pongo il problema  che smuove la mia coscienza.

Coscienza, finto moralismo, egoismo? Che fare?

Ritengo che tra scelte passate e scelte presenti debba esistere un continuum che rappresenta la nostra storia.

Non credo che butterò mai via il mio chiodo o che lo possa vendere. Anche perchè così non si tratterebbe altro che trasferirlo altrove.

Penso che lo terrò sempre nell’armadio a ricordarmi che le persone hanno la necessità di compiere un percorso sulla strada della consapevolezza e del fine etico della propria esistenza. E mentre penso che non me ne separerò mai mi ascolto Jimi Hendrix.


“Tacchino” del Ringraziamento

Ascoltando Fly me to the moon nelle interpretazioni delle migliori voci del jazz
Sarah Vaughan
Shirley Bassey
Peggy Lee

oggi festeggio il Ringraziamento, festa tipica americana ma gli US sono la mia seconda patria, visto che mi ci sono anche maritata e per un po’ ci ho vissuto.

Sono 15 anni che lo festeggio e un tempo, da vegetariana salutista (lacto-ovo),  cucinavo  il volatile vero e quel giorno era l’unica volta all’anno in cui mangiavo carne. L’ultimo tacchino vero l’ho cucinato nel 1999 con gli amici e i compagni di università.

Da quando sono vegan la cena del Ringraziamento l’ho sempre festeggiata con menu alternativi ma mai con sostituzioni vegan del tacchino.
Ma, quando ho trovato sul blog dell’amico Yari, la ricetta del “Tacchino” di tofu con ripieno ai cranberries, fagioli rossi e wild rice, non ho resistito e l’ho cucinato.  Risultato: sublime!

Ingredienti per il “tacchino” (100 grammi a persona):
tofu 1200 grammi
salvia essiccata 2 cucchiai
timo essiccato 1 cucchiaino
rosmarino 3 rametti
brodo vegetale in polvere 3 cucchiai
sale marino integrale 1 cucchiaino

Ingredienti per la salsa:
aceto balsamico 50 ml
vino rosso 70 ml
senape 2 cucchiaini
shoyu 2 cucchiai

Ingredienti per il ripieno:
pane secco 120 grammi
tofu 100 grammi
olio evo
mezza cipolla rossa
sedano 1 gambo
cranberries essiccati 50 grammi
riso selvaggio 100 grammi
fagioli rossi 100 grammi
salvia essiccata 2 cucchiai
timo essiccato 1 cucchiaino
alga kombu 3 cm
brodo vegetale in polvere 1 cucchiaio
sale 2 cucchiaini
pepe
insaporitore per arrosti 2 cucchiai

Salse di contorno:
Salsa cranberry (ho usato la Ocean Spray)
Salsa di mele
Purea di patate americane

Procedimento:
Si inizia a preparare il “tacchino”. Disporre  il tofu (il mio è autoprodotto) nel robot, con il rosmarino,  la salvia, il timo, il brodo vegetale in polvere, l’insaporitore e il sale.

              

Prendiamo uno scolapasta

Vi adagiamo un tovagliolo pulito

Disponiamo il tofu insaporito e ridotto in crema.

Lo copriamo con un altro tovagliolo pulito  sul quale appoggiamo un piatto e un peso in modo da pressare bene il composto
   

A questo punto mettiamo tutta l’impalcatura in frigo per l’intera notte.
Mettiamo a bagno i fagioli rossi con l’alga.
L’indomani prepariamo il ripieno. Iniziamo a cuocere i fagioli e l’alga per un’ora e mezza (in pentola normale, non a pressione). Contemporaneamente mettiamo a cuocere il riso selvaggio per un’ora (sempre in pentola normale) in 200 ml di acqua e un po’ di sale.  Al termine della cottura dei fagioli, si toglie l’alga e si aggiunge un cucchiaino raso di sale, continuando la cottura per pochi minuti.
Prepariamo il brodo scaldando 200 ml di acqua e versandovi il brodo in polvere.
Mettiamo i cranberries in ammollo per 10 minuti.
Affettiamo la cipolla e il sedano facendoli cuocere in padella con l’olio per 10 minuti.
Aggiungiamo i cranberries ammorbiditi e cuociamo per altri 5 minuti.

Aggiungiamo 100 ml di brodo e continuiamo a cuocere ancora per qualche minuto.
Tagliamo il pane a cubetti. Schiacciamo i 100 grammi di tofu e aggiungiamo la salvia.
Mettiamo in una ciotola capiente il pane, il tofu, la salvia, il timo e le verdure. Aggiungiamo il brodo rimanente, l’insaporitore di arrosti, il riso, i fagioli, il sale e il pepe.

Riprendiamo  dal frigo il tofu pressato. Togliamo il peso, il piatto e il tovagliolo superiore.

Scaviamo una cavità al centro lasciando un bordo di 3-4 cm .

Riempiamo la cavità con metà del ripieno. Poi richiudiamo con il tofu rimosso e pressiamo bene.

  
Accendiamo il forno a 180 gradi. Prepariamo una teglia foderata di carta forno su cui vi rovesciamo lo scolapasta. Il tofu ripieno si presenterà così:

Prepariamo la salsa di cottura, mescolando aceto balsamico, shoju, vino rosso e senape. Versiamone circa la metà sulla cupola di tofu.

In una teglia oliata mettiamo il ripieno residuo coprendo con la carta stagnola.
Inforniamo il “tacchino” e la teglia con il ripieno (il mio forno gigantesco mi consente di inserire due teglie sulla stessa griglia).
Ogni  15 minuti il “tacchino” va bagnato  con un paio di cucchiai di salsa. Dopo 30 minuti la stagnola della teglia con il ripieno andrà rimossa e, dopo altri 15 minuti verrà tolta la teglia. Il ripieno verrà servito come contorno al “tacchino”.
La cupola di tofu andrà tenuta in forno per altri 45 minuti per un totale di cottura di un’ora e mezza, continuando a bagnarla ogni 15 minuti. Aspetteremo un’oretta prima di tagliarlo.

  

e apprezzarlo nella sua bontà, accompagnato da salsa cranberry, salsa di mele e  purea di patate americane, continuando ad ascoltare  sempre e solo jazz.


Una lista indigesta

C’è una lista di comportamenti, azioni, atteggiamenti, da parte degli altri, che non riesco a tollerare, verso cui non ho alcuna indulgenza. E più invecchio più sono intollerante.

Alcuni di questi mi fanno veramente schifo:

  • leccare le dita per girare le pagine
  • non lavarsi le mani DOPO aver usato i servizi igienici (*)
  • non lavarsi le mani dopo aver starnutito o tossito
  • parlare con la bocca piena
  • leccarsi la maglia per pulirla dalla salsa (vedi commento Dioniso)

Altri, messi in atto da un commensale, mi mettono a disagio:

  • leccare il coltello
  • usare lo stuzzicadenti
  • parlare al telefono
  • mettere il tovagliolo al collo
  • soffiarsi il naso
  • appoggiare il cellulare sul tavolo
  • impugnare le posate come un pugnale
  • tenere un braccio sulle gambe (quando si usa, con l’altra mano, solo forchetta o cucchiaio)
  • rumoreggiare dopo aver bevuto bevande gassate (vedi commento Luu)

Altri mi danno fastidio, un insopportabile fastidio:

  • l’odore dell’ammorbidente sui vestiti. Io uso un po’ d’aceto al posto dell’ammorbidente e, oltre a funzionare benissimo, non lascia tracce di profumazioni sgradevoli. (*)
  • gli internet_dipendenti (*)
  • l’invadenza  (*)
  • la voce alta al cellulare in pubblico (vedi commento Pippi)
  • l’ eloquio volgare (vedi commento Pippi)
  • il dare del tu a chi si ritiene inferiore: immigrati, anziani,  (vedi commento Pippi)
  • la “congiuntivite” (vedi commento Pippi)
  • chi ti parla masticando cicca
  • chi ti parla tenendo le mani in tasca
  • chi ti parla senza togliere gli occhiali da sole, a meno che non siano da vista

(*) mi è capitato di ospitare in casa, per alcuni giorni (un’eternità),  una persona che aveva quei comportamenti…. Che liberazione il giorno della sua partenza!

La lista sarebbe molto più lunga…….. Mi rifugio nella musica jazz. Sto ascoltando Chet Baker in My funny Valentine


La miseria non ha nazionalità

Ascoltando il sax di  Cannonball Adderley  in Work  Song, ho ripensato a questo episodio.

Giorni fa, costretta a prendere la metropolitana anziché la moto, per andare al lavoro, per via di una bronchite che mi tormenta, tra la fermata Palestro e San Babila, ho sentito una signora che, con volume di voce deliberatamente alto, affermava, rivolgendosi a un’interlocutrice conosciuta che “più del 90 % degli ospiti delle mense di accoglienza sono nomadi, stranieri, barboni dei paesi dell’est che nessuno ha invitato a quelle tavole“.
Si sente di tutto sui mezzi pubblici, obtorto collo….

E, tra gli argomenti a me particolarmente sgraditi e di scarso o nullo interesse, elencherei noiose  cronistorie di serate familiari altrettanto noiose, racconti di corna, racconti di viaggi organizzati all inclusive, di soggiorni in alberghi a 5 stelle uguali in tutto il mondo, crociere di massa,  turni di lavoro, maldicenze contro suocere e cognate, pettegolezzi verso colleghi, difetti coniugali. Potrei continuare a lungo.

Ma un’uscita come quella di quella passeggera della metropolitana è la peggior affermazione sentita nel mio Paese da quando sono rientrata da New York.

Non definirei razzista la signora ma molto di più, volgare e miserabile, arida, senza strumenti culturali. Un’affermazione come quella nasce dalla convinzione che l’indigenza vada catalogata in base alla nazionalità o alla provenienza: c’è un’indigenza più gradita di altre  verso cui offrire un gesto di aiuto  per placare un ipocrita senso di colpa e un’indigenza sgradita perché implica la necessità di  condividere le cose con un “invasore”.

Il sax di Cannonball è una dolce medicina alla miseria umana. Se proprio non la elimina la fa dimenticare.
 


PhilaVEG (versione dolce)


Ascoltando musica le ricette sono più buone. Ascoltando jazz sono sublimi.
Per preparare questa crema ascoltavo Punk Jazz dei Weather report.

Il PhilaVEG è una mia invenzione e deriva dalla ricotta di soia.

Ingredienti (per circa 230 grammi di ricotta di soia):

  • 1 litro di latte di soia puro* (negli ingredienti ci deve essere solo acqua e fagioli di soia altrimenti non caglia) – *Io uso la bevanda di soia biologica Ecolife della Alinor (dà un’ottima resa, ha un buon sapore e ha un prezzo ragionevole)
  • 5 cucchiai di aceto di mele (da preparare in un bicchierino)

Ingredienti per il PhilaVEG :

  • la quantità di ricotta precedentemente preparata
  • la scorza di due limoni bio (può essere anche arancia o entrambi) (*)
  • 1 cucchiaio di yogurt di soia (io uso yogurt autoprodotto) o, in alternativa, un cucchiaio di panna di soia da cucina
  • 1 cucchiaio di sciroppo di agave (facoltativo – si aggiunge se si gradisce un gusto più dolce)
    (*) si può insaporire anche con un pizzico di cannella o zenzero

Procedimento per la ricotta:
Far bollire il latte di soia.
Al momento del massimo bollore del latte spegnere il fuoco e aggiungere l’aceto di mele. Si vedranno i fiocchi separati dal siero.

Scolare i fiocchi in un colino su cui si appoggerà una garza (se la trama del colino è sufficientemente fitta la garza non serve)

Sciacquare sotto l’acqua per circa 20 secondi per eliminare il gusto dell’aceto. Strizzare bene la garza per eliminare tutto il liquido.
Mettere la ricotta così ottenuta in una ciotola. Aggiungere le scorze di limone, lo yogurt (o  la panna)

e amalgamare bene

Procedimento per il PhilaVEG:
Mettere il composto nel frullatore e frullare qualche minuto finchè raggiunge una consistenza cremosa. Eventualmente aggiungere lo sciroppo d’agave e le spezie (cannella e zenzero)


Spalmare su una fetta di pane con della marmellata (quella della foto di presentazione è marmellata di cranberry) continuando ad ascoltare i Weather report…


Addio Freddie, dolce gattino


Freddie ieri se n’è andato sul Ponte dell’Arcobaleno. Ho un grande nodo alla gola, dopo una notte di lacrime. E ho l’angoscia per non averlo potuto abbracciare l’ultima volta.
Ciao Freddie, piccolo tesoro!

Ascoltando Israel “IZ”  Kamakawiwo ‘ ole in “Somewhere over the rainbow


Dedicato a Super SIC

Ascoltando il grande Freddie Mecury in The show must go on penso a Sic, alla sua classe in pista e  nella vita.
Penso  al meraviglioso e travolgente mondo delle moto, al rombo dei motori, a tutto ciò che riconduce a una grande passione e all’averla vissuta fino in fondo. Troppo brevemente.
Penso anche alla sua umiltà, alla sua  semplice normalità, alla sua stupenda famiglia, al candore della sua fidanzata.  Penso ai suoi meravigliosi genitori e alla sorellina, alla loro grandissima forza e dignità.

Non sono riuscita a parlarne prima. Da motociclista ero troppo turbata. E l’aver visto l’incidente, in diretta,  mi ha lasciata senza parole.
Ciao SIC!

Questo video , è il tributo che il mondo del motociclismo ha donato a Marco, a Valencia, nell’ultima gara, con il “minuto di casino” che avrebbe voluto lui e che papà Paolo ha espresso.


Le mie radici (prima parte)

Ascoltando John Coltrane in Love

Torbole sul Garda è in Trentino ed è il paese di Lidia, la  mia mamma. Rappresenta la metà delle mie radici (l’altra metà è nel Ponente ligure, ne parlerò nella seconda parte) ma ha un peso, nella mia formazione, quasi totale e un’influenza di gran lunga maggiore di quella che mi ha trasmesso la componente ligure.
E’ il fascino struggente dei ricordi d’infanzia, la malinconia del tempo che fu, la forza trascinante degli affetti, il piacere del luogo in cui mi riconosco, mi ritrovo e ripercorro la mia storia. Una storia intensa quella vissuta qui, tra ventose estati in cui  vedevo le barche a vela piegarsi con la vela lambire l’acqua e inverni rigidi, accanto alla stufa. Torbole mi scorre nell’anima tanto che il solo pensarci mi commuove quasi fino  alle lacrime.
Torbole mi riconduce  alla mia anima graffiata ma anche a intensi momenti di felicità, a levatacce all’alba per andare a scuola, in prima Liceo Scientifico, al Rosmini di Rovereto o a nottate estive a contemplare le stelle, in giardino ascoltando il frinire delle cicale.  
E ora qualche immagine di Torbole, bellissima d’estate con l’òra, una brezza di valle  che spira, solitamente nel pomeriggio, dal lago verso i monti o con il pelèr che  spira dai monti verso il lago, nelle ore notturne e al mattino.

               
A Torbole soggiornò J.W. Goethe nel 1786 che fu talmente entusiasta del luogo da invogliare altri artisti  a soggiornarvi, seguendo il suo esempio.
      

Torbole, per me, è anche “La Casota“, la casa dei miei nonni, costruita agli inizi del secolo scorso.
Significa casettacasa piccola, in dialetto trentino. La chiamarono così i miei nonni,  per distinguerla da una più grande che fecero costruire anni dopo.
La Casota ora è mia e, dopo varie trasformazioni, è costituita dal mio appartamento delle vacanze e da quattro unità abitative autonome che, attraverso l’Agenzia Viaggi Flipper, sono affittate ai turisti.

Il mio sogno, quando andrò in pensione (ma quando sarà? chissà!? ) sarebbe quello di farne un bed&breakfast con prodotti locali vegan.

L’idea di ospitalità me l’hanno trasmessa i miei nonni, nati austriaci e che, negli anni del dopoguerra, proprio in questa casa incominciarono ad affittare una stanza ai turisti, quasi tutti tedeschi, per far fronte alla miseria di quegli anni.
Costruirono, successivamente, un albergo bellissimo, con un grande parco, che ora non è più della mia famiglia.
Amo sempre tornare a Torbole per brevi o lunghi periodi, in tutte le stagioni, anche con la mia Ducati che si diverte molto (lei, la moto, ma anch’io…) sulle meravigliose strade del Basso Trentino.


Ketchup

Ascoltando il sax di Branford Marsalis in “In the crease” ho preparato una delle salse che più adoro: il ketchup.
Il ketchup ha origini orientali e giunse in Europa nel XVII secolo. Fu Heinz in America, nel XIX secolo, che elaborò la ricetta, aggiunse alcuni ingredienti, ne tolse altri e ancora oggi il suo Ketchup è lo stesso di allora in tutto il mondo.

Ingredienti:
500 grammi di pomodori ben maturi
mezza mela
mezza cipolla
40 grammi di zucchero
100 grammi di aceto di mele
spezie: 1 chiodo di garofano, un pizzico di cannella, un pizzico di paprika, un pizzico di senape in polvere, un pizzico di zenzero in polvere

Procedimento:
Mettere nel mixer i pomodori, la cipolla e la mela

e frullare ad alta velocità fino a frantumare tutti gli ingredienti


Far bollire i 100 grammi di aceto di mele in cui sono state inserite le spezie. Aggiungere al composto l’aceto e lo zucchero e far cuocere sul fuoco fino a quando la salsa non si addensa. Ci vorranno circa 15 minuti. Inizialmente la salsa assume un colore rosa e poi, miracolosamente

diventa rossa.

Versarla in un recipiente continuando ad ascoltare il sax di Branford Marsalis….