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Tempus fugit

Da un verso delle Georgiche di Virgilio: «Sed fugit interea fugit irreparabile tempus» (Trad: Ma intanto il tempo fugge, fugge irreparabilmente).

Da quando ho smesso di lavorare - da dipendente prima e in proprio poi – mi sono sentita smarrita e disorientata. Le mie giornate, non più riempite dal lavoro, svolto con impegno e passione, mi sono sembrate vuote di contenuti. Il mio lavoro era ricco di relazioni, di ricerca, di studio, di fatica, di soddisfazioni, di successi ma anche di insuccessi e frustrazioni. Insomma era un’inesauribile fonte di confronto dialettico e riflessioni. Per tanti anni.

La forzata – anche un po’ desiderata, aggiungerei – inattività mi ha sollecitato l’urgenza di guardare indietro negli anni e verificare, ahimè, che il contatore del tempo gira molto velocemente. Prima non mi era mai capitato di “guardare l’orologio” tanto erano occupate le mie giornate – anche quelle di svago – e questa necessità di controllo non era mai emersa. Impegnavo parte delle giornate spesso sprecando energie con persone con le quali ero obbligata a condividere il tempo e con cui non avevo nulla in comune, nulla da spartire, salvo l’obbligo di subirne la presenza. Diciamo che questa forzata tolleranza era ben equilibrata da momenti di soddisfazione e gratificazioni.

Ora sento il bisogno di riempire ogni spazio temporale senza lasciare vuoti ma di riempirlo in modo selettivo operando scelte rigorose e senza buttare energie e tempo perché ora sono più difficile e più esigente.

Come riempio ora il mio tempo? Con la persona che amo e che da tanti anni mi è vicino e con cui condivido impegno civile (attivismo per gli animali e a sostegno dei popoli oppressi), affetti, amicizie, frequentazioni interessanti, viaggi, tante risate, musica, cinema, lunghe passeggiate, buone letture, ozio creativo.

A volte mi viene spontaneo fare sempre tutto velocemente, quasi freneticamente, come se  il tempo che ho non bastasse a donarmi ancora tante esperienze ed emozioni che desidero vivere ma poi rallento e penso, con stupore, a tutto quello che ho vissuto e provato e mi viene naturale evocare la frase di Pablo Neruda (che dà il titolo al suo libro) “Confesso che ho vissuto”.

Non potevo, mentre scrivevo, che ascoltare Dave Matthew Band in ” How time slips away” (tr. “Strano come il tempo scivoli via”)

https://www.youtube.com/watch?v=EM6Vc1_i-YM


Un’emozionante fatica……

Sono tornata da New York da poche ore dove, nonostante la frequenti  da 30 anni, ho vissuto nuove ed eccitanti emozioni. New York è proprio questo. Ho incontrato persone interessanti, rivisto vecchi amici, frequentato dei fantastici ristoranti vegani, visitato musei, ascoltato musica. Ho persino incontrato Isa Chandra Moskowitz nel suo ristorante di Brooklyn “Modern Love”, ho fatto due chiacchiere con lei e scattato un paio di foto. Insomma un soggiorno pieno ed eccitante.
Ma l’emozione più grande l’ho vissuta oggi quando ho ricevuto la notizia della stampa del mio libro.
Un’emozione tanto forte l’ho provata il giorno in cui ho ritirato dalla copisteria la mia tesi di laurea e il giorno in cui l’ho discussa. Avevo in tasca la boccetta di fiori di Bach “Rescue” che tenevo come un feticcio. La maneggiavo nervosamente sperando in un effetto anche solo al tatto….
Quando mi è stato proposto dalla casa Editrice Sonda di scrivere un libro di ricette ho pensato, lì per lì, che non sarei stata in grado. Non avevo mai scritto libri salvo, appunto, la tesi e non avrei saputo da che parte iniziare. Fortunatamente mi sono presa un paio di giorni di riflessione, decisivi per la scelta di accettare.
Mi sono ricordata, infatti, le parole di un mio professore universitario che disse a noi studenti  che scrivere una tesi sarebbe stato propedeutico per scrivere qualsiasi libro. Intendeva dire che aiutava ad acquisire un metodo.
Sono passati tanti anni da quei tempi e da quelle parole ma, riaffiorando nella memoria, sono state la spinta ad accettare.
E’ stato un lavoro a quattro mani: le mie due per cucinare di giorno e scrivere i testi a tarda sera/notte e quelle di mio marito Sebastiano per scattare centinaia di foto ai piatti.
La mia cucina è stata per tre mesi un campo di battaglia e il soggiorno un perenne set fotografico. Non ho potuto invitare nessuno per mancanza di spazio vitale, occupato da obiettivi, cavalletti, teli di sfondo, tovaglie e vari accessori.
Il tavolo e il banco della cucina perennemente occupati da ingredienti, attrezzi, accessori di ogni tipo.
I miei assaggiatori privilegiati – i miei nipoti, Tommaso e Andrea –  erano ogni giorno da noi per cercare di sbafare le preparazioni del giorno. Le loro critiche e apprezzamenti mi sono stati di grande aiuto per mettere a punto le versioni definitive delle ricette. Il giudizio dei bambini, candido e spontaneo, è stato essenziale.
Ora attendo i feedback di chi acquisterà ma, soprattutto, utilizzerà il mio libro mettendo in pratica le ricette.
Nella stesura del libro ho cercato di essere essenziale ma completa nelle descrizioni ma, sono disponibile a dare indicazioni se qualcosa risultasse poco chiaro.
Ringrazio fin d’ora chi mi sosterrà.

Ascoltando Dave Matthews e Tim Reynolds che saranno in plug&play a Milano al Teatro Arcimboldi il 7 aprile (abbiamo i biglietti da mesi….. 🙂  )

 

 


Intervista a uno scrittore

Roberto Curatolo, medico, psicologo, scrittore, viaggiatore.

Ho conosciuto  Roberto Curatolo anni fa quando faceva il Medico del Lavoro in un’azienda sanitaria e da subito, incontrandolo, ne apprezzai la gentilezza dei modi, lo stile, l’eloquio pacato (ingentilito dalla erre alla francese) e la vasta cultura.

Di lui apprezzai, inoltre, la capacità di ascolto, l’attenzione verso gli altri e quella certa malinconia negli occhi tipica di chi sa vivere  con intensità, passione  e senso critico ogni evento, ogni momento,  ogni aspetto della vita.

Ma Roberto, oltre che un bravo professionista scientifico, è anche un apprezzato narratore nonchè scrittore di testi teatrali.

Roberto vive a Milano e ha due figli: Marco – architetto e apprezzato fotografo  a Milano e Andrea – ingegnere ricercatore a Perth – in Australia.

Roberto, quando hai deciso di fare il Medico?
Ho frequentato il liceo scientifico. Già allora mi piaceva scrivere e al termine del liceo avrei volentieri scelto la facoltà di lettere. Ma, a quei tempi (tempi piuttosto lontani) chi proveniva dal liceo scientifico non poteva iscriversi a lettere e a filosofia. Quindi la scelta di medicina fu una sorta di ripiego. Comunque l’interesse per l’argomento non mi mancava. Dopo il primo anno di università, arrivò la riforma che consentiva ad ogni “maturato” di iscriversi alla facoltà che preferiva. Chiesi a mio padre di lasciare medicina e di iscrivermi a lettere. Con molta intelligenza lui mi propose di frequentare le lezioni delle materie letterarie (per trasferire l’iscrizione c’era tempo fino a fine dicembre e le lezioni cominciavano a settembre) per verificare se effettivamente le mie aspettative trovavano un riscontro. Fu un consiglio molto utile: chissà perchè, mi ero messo in testa che mi sarei trovato in una sorta di cenacolo letterario, in un circolo di giovani scrittori, in un ambiente stimolante ed elettrizzante. Invece mi ritrovai in vecchie aule semivuote con professori poco affascinanti e compagni di corso uguali a quelli delle aule di medicina. Va detto che ero giovane, imbottito di fantasie bohemiennes e ancora molto lontano dall’immaginare che l’ambiente letterario non è granchè diverso da qualunque altro ambiente professionale.
Proseguii dunque medicina e non me ne sono pentito. Allora mi interessavano soprattutto le problematiche psicologico-psichiatriche: a quei tempi, nel cercare le cause della malattia mentale, ci si divideva tra organicisti e ambientalisti. Era un confronto molto acceso e io stavo dalla parte degli ambientalisti.
 
La tua attività di medico ha contaminato/condizionato quella di scrittore?
Senza dubbio. Pochi fanno caso al fatto che la storia della letteratura è ricchissima di grandissimi autori che erano medici. Alcuni nomi? Possiamo cominciare da Rabelais per proseguire con Cechov e poi Bulgakov, Cronin, Celine, Maugham, Schnitzler, Conan Doyle, Carlo Levi, Tobino, Lobo Antunes, Crichton e tanti altri. C’è un bel libro francese, “Le bisturi et la plume”, che è una sorta di enciclopedia dei medici scrittori. Perchè tanti medici nella grande letteratura e non altrettanti ingegneri, architetti, farmacisti o biologi? Perchè il medico ha a disposizione, nella sua professione, un’infinita quantità di spunti che gli vengono dalla frequentazione assidua con le storie delle persone, con la nascita, le malattie e la morte delle persone. Con la possibilità di frequentare le loro case e le loro famiglie.
 
Da quando hai iniziato a scrivere?
Ho iniziato a 13 anni. Con la poesia, come fanno in tanti. Fino a 30 anni circa, ho scritto solo poesia. Poi ho capito. Ho capito che la mia poesia non bucava il foglio. Ho letto tantissima poesia. E se leggi la poesia dei grandi, ti rendi conto che cos’è la grande poesia. E allora ho lasciato perdere e ho buttato tutto. Tutto sommato è più facile essere un buon narratore che un buon poeta. Comunque ho conservato la prima poesia: un sonetto per una ragazzina per la quale stravedevo. Anni fa l’ho riletta: ho provato un misto di tenerezza e commozione. Sono rimasto sorpreso dalla potenza dell’innamoramento di quell’età.
 
Da cosa sei ispirato nei tuoi testi?
Sono affascinato dalle storie delle persone. Ascolto e rubo. Sono un ladro di storie. Ovviamente in letteratura “funzionano” di più le storie dei losers, dei perdenti. E anch’io sono affascinato maggiormente dalle storie di quelli che il grande pittore e scrittore Lorenzo Viani definiva i “deplacés”, quelli che stanno ai margini. Non devono essere necessariamente degli emarginati, magari stanno dentro i margini, ma sul confine. E’ un attimo finire fuori.
 
Si sa che nel nostro paese non si legge molto e Internet non migliora questa condizione considerando anche che l’elettronica (eBook) sta sempre più sostituendo i libri cartacei e il piacere del profumo della carta e del fruscio delle pagine.
Cosa ne pensi?
E’ un dibattito molto acceso. Già una quindicina d’anni fa si era cominciato a dire che la sorte del libro cartaceo era ormai segnata. In realtà ciò che ha veramente modificato i rapporti di forza è stato l’arrivo sul mercato dei tablets: quelli, sì, possono veramente far diventare il libro cartaceo un oggetto d’antiquariato. Si dice che i libri faranno la fine dei dischi: scompariranno. Può essere. So che a me continua a piacere di più un libro con pagine da sfogliare e ai cui margini annotare qualche impressione.
 
Hai degli hobby?
Hobby nell’accezione vera e propria del termine, no. Ho molti interessi. Il principale, nella mia vita, è stato viaggiare. Ho conosciuto molti luoghi e molte genti. Credo che chiunque viaggi, con gli occhi aperti e l’animo disponibile, beninteso, non possa che diventare un uomo migliore. Chi viaggia non può essere razzista, settario, fanatico. Ho sognato di viaggiare fin da bambino. E ho cominciato a farlo fantasticando su un atlante di geografia. E poi mi piace molto il cinema, mi piace camminare in ambienti naturali e non antropizzati e, per finire con un’affermazione di sconcertante banalità, sono affascinato dall’universo femminile.
 
Spiegati meglio. Cosa intendi per essere affascinato dall’universo femminile?
Beh, al di là della banalità di condividere con qualche miliardo di uomini questo genere di attrazione, mi sento di aggiungere che sono assolutamente convinto che le donne siano di gran lunga più evolute dei maschi. Sono avanti in fatto di sensibilità, di equilibrio, di praticità. Sono certo che il mondo, in mano alle donne sarebbe molto più vivibile. Non mi piace quando inseguono gli uomini su alcuni terreni, come, ad esempio, quello militare: non sopporto le donne-soldato. Ho avuto la fortuna, sopratutto attraverso le esperienze professionali, ma anche tramite quelle personali, di approfondire la conoscenza dell’universo femminile e di sentirmi spesso in sintonia con esso. E poi non posso dimenticare che oggi la letteratura mantiene il suo ruolo soprattutto grazie alle lettrici: senza di loro la gran parte delle case editrici avrebbe chiuso. Il complimento più bello che ho ricevuto come scrittore è stato quando alcune lettrici, dopo aver letto alcuni miei testi in cui raccontavo storie di donne, magari con la protagonista femminile che parlava in prima persona, mi è stato detto che quei racconti sembravano scritti da una donna.
 
Se potessi scegliere un luogo dove vivere quale sceglieresti?
E’ una domanda che mi mette in difficoltà. Anche se vedo tutte le debolezze e le manchevolezze del nostro paese, ci sono indubbiamente legato. Certo, se avessi un casale nel senese o in Umbria, ci andrei volentieri. Ma non mi piace fantasticare su situazioni irrealizzabili. Ho un figlio che vive in Australia: là mi piace, non è detto che, quando smetterò di lavorare, non vada a trascorrere metà dell’anno laggiù, down under.
 
Che consiglio daresti a una persona che vorrebbe iniziare a scrivere?
Nessuno sa scrivere per dono divino o per capacità congenite. Imparare a scrivere è un percorso lungo e impegnativo. E, potenzialmente, non si finisce mai di migliorare. Ci vogliono tecnica e inventiva. Puoi avere inventiva ma senza tecnica non vai lontano. E puoi avere tecnica, ma se non hai l’inventiva e la sensibilità, scrivi aridamente. Io ho avuto la fortuna di avere un eccezionale maestro, Giuseppe Pontiggia. Frequentai i suoi corsi di scrittura. Già scrivevo, ma quei corsi mi fecero modificare profondamente il mio modo di scrivere. Furono soprattutto un necessario bagno d’umiltà. Quindi a chi inizia a scrivere, consiglio di accettare serenamente le critiche costruttive e di non essere mai convinti di essere un crac della letteratura.
 

Come Maestro di scrittura hai avuto un Signor Maestro!!!
Sì, Giuseppe Pontiggia rappresenta per me un mito. Un uomo di sterminata cultura. Possedeva in casa propria la terza biblioteca milanese, quanto a numero di libri (circa 35.000!). Ho frequentato la sua casa e la sua famiglia. Mi voleva bene e credo che avesse fiducia nelle mie qualità scrittoriali. La sua morte prematura mi ha procurato un dolore profondissimo.

 
E a un giovane che volesse intraprendere gli studi di medicina?
Gli direi, come scrisse Paul Klee, di seguire i battiti del suo cuore. Di intraprendere una via lunga e difficile solo se si sente portato e se ha attenzione per la sofferenza umana. Anche in questo caso, come nella scrittura, la tecnica non basta: sono necessarie capacità d’ascolto e sensibilità. Ai miei tempi, molti si iscrivevano a medicina con la prospettiva di fare soldi. Già allora, però, la professione non era più così remunerata come una volta. E oggi è ancora peggio. Potrei dire che oggi serve ancora più passione rispetto a una trentina d’anni fa.
 
Quando scrivi, ascolti anche musica?
No, quando scrivo, ho bisogno del massimo silenzio. Mi piace moltissimo la musica, presenzio da sempre a molti concerti, soprattutto rock, blues e folk, ascolto la musica appena posso, ma non quando scrivo. Ho bisogno della massima concentrazione.
 
 I LINK dei LIBRI di Roberto
http://www.mannieditori.it/libro/lampi-di-buio
 
Ringrazio Roberto per il tempo che mi ha dedicato, rubandolo alla sua attività, e per la sua deliziosa disponibilità.
Gli dedico un meraviglioso e struggente  Blues di John Lee Hooker con Ry Cooder in Boom Boom, dal vivo alla House of Blues di Los Angeles, uno dei miei luoghi preferiti a LA (buon ascolto!).

Incontro con Margherita Hack


Alla Libreria Hoepli di Milano Margherita Hack ha presentato il suo ultimo libro Perché sono vegetariana – Edizioni dell’Altana ,

intervistata dalla giornalista vegana Paola Maugeri, in presenza di una grande folla, con gente anche in piedi o seduta per terra.
E’ stata una grande emozione ascoltare questa Scienziata, sentirla raccontare, in modo così semplice, diretto e spontaneo, la sua scelta vegetariana,  fin dalla nascita,  grazie al fatto che già i suoi genitori erano vegetariani.

Avrei voluto tanto intervistarla dopo l’intervento e, data la sua semplicità pari alla sua grandezza, probabilmente avrebbe anche accettato ma la folla premeva per farle  firmare  il libro e, di conseguenza, non ho avuto modo di chiederglielo.
Inoltre, era molto raffreddata e, certamente, non in perfetta forma.
Riporto solo alcune delle domande del pubblico in sala e le risposte della Professoressa Hack.
Io non ho fatto domande. Ero tutta orecchie.

Io sono carnivoro ma sono curioso di sapere perché sono più vegetariane le donne degli uomini e se tra 1000 anni saremo in grado di conoscere l’origine dell’universo.
Non sono in grado di capirne il motivo. Probabilmente perché le donne sono più sensibili. Quanto al conoscere l’origine dell’universo, non lo sapremo mai.

Io sono vegetariana ma ho sentito dire che i vegani e i vegetariani soffrono di carenza di B12. E’ vero?
Non ho mai assunto nessun integratore. Sono nata nel 1922 e allora non c’era proprio nulla. Posso solo dire che ho vinto molti tornei sportivi, ho praticato l’atletica a livello agonistico, ho vinto due campionati nazionali universitari. Dopo gli 80 anni ho girato in bicicletta gran parte del Friuli-Venezia Giulia facendo anche 100 km in una mattinata. Fino a 4-5 anni fa ho giocato a pallavolo a livello dilettantistico in un campetto accanto all’Osservatorio Astronomico. Ora ho 90 anni, non gioco più a pallavolo, ho qualche acciacco dell’età ma sto bene pur non avendo mai assunto vitamina B12.
Paola Maugeri ha integrato quanto detto dalla Professoressa Hack: di carenza di vitamina B12 potrebbero soffrirne anche gli onnivori  perché gli animali di allevamento di cui si nutrono non conducono una vita sana e non sono alimentati con prodotti di qualità.

Cosa dà da mangiare ai suoi gatti?
Scatolette.
A questo punto è intervenuta Paola Maugeri per dire che anche cani e gatti potrebbero mangiare vegano. Lei, ai suoi amici  quattrozampe, dà Amicat e Amidog, aggiungendo di ordinarli via internet e di non avere nessun interesse economico a pubblicizzarli.

Io sono quasi vegetariano nel senso che per un 10% mangio pesce azzurro, non di allevamento. Faccio questo ragionamento: è come se mi inserissi nella catena alimentare prima che una cernia divori la sardina che sarà nel mio piatto. Insomma, sono arrivato prima della cernia.
Così pensa di aver salvato la vita alla sardina? (Risata del pubblico. NdR)

Come mai i suoi genitori erano vegetariani, visto che si parla di un’epoca molto lontana?
Il babbo era protestante, la mamma cattolica. Ma entrambi insoddisfatti. Si avvicinarono alla teosofia che, pur sostenendo molte credenze, a mio avviso, indimostrabili, come  lo sono molti dogmi di varie religioni, ha il merito di avere come principio il rispetto di ogni forma di vita. Quindi, erano vegetariani per motivi etico-religiosi. Sono cresciuta vegetariana con naturalezza. Non ho mai mangiato né carne né pesce ma solo l’idea mi ripugna. Quando dico che non mangio carne mi viene offerto il pesce, come se non fosse un animale.

Lo stesso amore per gli animali lo esprime anche verso i suoi simili?
Non faccio agli altri quello che non vorrei facessero a me (Scroscio di applausi. NdR)

Paola Maugeri, vegana da 30 anni, dall’età di 13 anni (dimostra molto meno dei suoi 43 anni!!) ha parlato del suo bambino di 4 anni e mezzo, vegano dallo svezzamento (prima, ovviamente, si nutriva del latte della mamma) e del fatto che sia in ottima salute tanto da definirlo un torello.

Tra una domanda e l’altra la Professoressa Hack ha raccontato episodi della sua infanzia e della sua storia di scienziata, del suo amore per gli animali, dello strazio che ha provato, da giovinetta, nel sentire i lamenti di dolore delle mucche, del vicino allevamento (che, spiegava, un tempo erano più vicini ai centri abitati), quando veniva loro strappato il vitellino appena partorito.

Purtroppo il tempo è volato come vola quando si ascoltano argomenti interessanti e autorevoli, con eloquio semplice e diretto. Tipico delle grandi persone.
Anche Paola Maugeri è molto simpatica.

Dedico alla Scienziata e alla Giornalista questo pezzo, interpretato da una giovane donna di grande Voce e forte Personalità: Nina Zilli inPer sempre”  (purtroppo c’è solo la versione di SanRemo su YouTube)


Sunday vegan brunch

Oggi giornata rilassante, a casa, ascoltando Dave Matthews band  dall’iPad.
Ecco Dave in un simpatico video in “Funny the way it is“.  In America la Dave Matthews band è molto conosciuta e nonostante sia una jam band di elevato pregio musicale che fonde rock alternativo con blues e jazz, in Italia è pressoché sconosciuta nonostante abbia un attivo fan club che per molto tempo ho seguito anch’io.
Ieri, Seb e io, avevamo pensato di farci un bel brunch domenicale in uno dei tantissimi ristoranti veg o veg friendly di New York. Poi mi son detta che, con 7 libri di cucina veg in casa, tra cui uno proprio dedicato al brunch (vedi foto di apertura), anche con una fantasia limitata, avrei potuto almeno copiare.
Questo il menu (le ricette scritte in grassetto blu le pubblicherò prossimamente)

  • yogurt di soia con fragole e mix di frutta secca (per Seb)
  • frullato di fragole (per me)
  • french toast con salsa di mele (ricetta dalla VegNews letter di agosto 2011)
  • chorizo sausage (ricetta dal libro in foto)
  • pepper Jack cheez  (ricetta da The ultimate uncheese cookbook di Jo Stepaniak)
  • pomodori e insalata romana alla salsa di peanut butter
  • tè verde
  • caffè americano alla nocciola

Ecco le  foto:


Yogurt di soia con fragole e mix di frutta secca e frullato di fragola. Tè verde (la tovaglietta americana è frutto di un riciclo, di cui parlerò in un prossimo post)


French toast con salsa di mele

La tavola imbandita

Il piatto forte:  chorizo sausage e pepper Jack cheez con insalata romana e pomodori alla salsa di peanut butter

I chorizo sausage

Il pepper Jack cheez

Ci siamo alzati da tavola leggeri ma soddisfatti. Il pomeriggio l’abbiamo dedicato alla scoperta di mercatini delle pulci. Martedì, con un’automobile in affitto andremo a Newport, cittadina a 170 miglia da New York, nello stato del Rhode Island,  per un paio di giorni di relax, mare, belle barche da vedere. A presto!