Viaggio a Pitcairn (quinta parte)

Ci svegliamo presto, io ancora incredula di trovarmi a Pitcairn ma la vista dell’oceano dalla grande finestra della stanza è come un risveglio dal sogno, un ritorno alla realtà. Sì, sono proprio lì.

Il bagno è uno solo per cinque persone ma riusciamo a utilizzarlo per primi senza attese per gli altri che hanno orari diversi.

La colazione è pronta, si sente profumo di caffè e pane tostato. É Mike che si occupa di noi perché Brenda è impegnata al computer. Lei è la poliziotta dell’isola e svolge anche mansioni amministrative. É lei che ci ha timbrato i passaporti.

Brenda mentre timbra i nostri passaporti
Questi timbri racchiudono un desiderio realizzato
I prodotti per la colazione, al centro del tavolo

Gli alimenti per la colazione, tutti vegani come da nostra richiesta, sono al centro del grande tavolo dove siamo seduti. Provengono dalla Nuova Zelanda e uno di questi, il Marmite, l’avevo già provato in occasione di un viaggio a Auckland. Quella crema tra il salato e l’acidulo, allora, la trovai disgustosa e immangiabile ma dopo anni, su quel tavolo, a Pitcairn, forzando il palato, l’ho adorata tanto da ripromettermi, una volta rientrata in Italia, di cercarla non potendone più fare a meno. Il mistero e il sogno hanno agito per me. E ho consolidato l’idea che i gusti vanno istradati se questo serve a scegliere alimenti giusti e puliti e non frutto di sofferenza e crudeltà.

Al tavolo oltre a noi c’è Andreas con cui scambiamo informazioni sui programmi della giornata. Siamo tre buone bocche e Mike si dà un gran daffare per tostare il pane e servire il caffè. Non fa in tempo a portare quattro fette di pane che già sono sparite, spalmate di leccornie varie tra cui il Biscoff che non conoscevo e che, dagli ingredienti, è una golosissima bomba calorica, da non ricomprare. Diamo l’impressione di essere tre naufraghi affamati più che viaggiatori giunti fin laggiù in cerca di emozionanti avventure.

Mi offro di aiutare Mike a sparecchiare e lavare i piatti. Mi piace immergermi nell’atmosfera casalinga.

Il programma della giornata sarà intenso, a stomaco pieno lo affronteremo meglio. Ci dirigiamo a piedi verso la Saint Paul’s pool, una pittoresca piscina naturale soggetta alla marea, incastonata tra le rocce costiere nella parte orientale dell’isola. É l’unico punto di Pitcairn dove si può fare il bagno quando la marea non è violenta. Non ci sono spiagge.

Saint Paul’s pool

La vista è un incanto, il rumore dell’oceano è carezzevole, ammirato dalla terra ferma… Staremmo lì ore a contemplare lo spettacolo ma vogliamo andare al Museo. Ci arriviamo dopo una faticosa camminata. Le distanze sono brevi ma il dislivello è notevole.

Ritratti di John Adams e di Thursday October, figlio di Fletcher Christian

La bibbia del Bounty

Il Museo è molto piccolo. Si tratta di due stanze dove sono raccolti alcuni oggetti del Bounty oltre a documenti che richiamano la storia degli ammutinati. Il reperto più significativo del museo è la bibbia che John Adams, l’ultimo sopravvissuto degli ammutinati, utilizzò per insegnare a leggere e scrivere e, ahimè, indottrinare, le donne e i bambini sopravvissutə ai conflitti tra tahitianə e marinai inglesi. Infatti, la vita degli ammutinati fu caratterizzata negli anni successivi all’insediamento sull’isola, da omicidi e violenze.

Fletcher fu probabilmente uno dei primi ammutinati a morire, ucciso durante una ribellione dei maschi tahitiani. Nella stessa ribellione morirono altri quattro ammutinati, mentre tutti e sei i tahitiani furono uccisi per rappresaglia dagli altri tre ammutinati oppure dalle vedove dei marinai uccisi. I sopravvissuti si presero le mogli dei loro compagni morti. Alla rivolta seguì qualche anno di pace, fino a quando uno degli ammutinati riuscì a distillare una bevanda alcolica dalle piante dell’isola. I sopravvissuti, spesso ubriachi, cominciarono ad essere sempre più violenti, anche nei confronti delle loro mogli, che a loro volta si rivoltarono. Nel frattempo l’isola si popolava di decine di bambini. Gli ammutinati intanto, sempre per questioni di alcol o di donne, continuarono ad uccidersi tra di loro, fino a che rimase vivo soltanto uno di loro, John Adams. A quel punto la popolazione dell’isola contava un uomo, 8 donne e diverse decine di bambini. In pochi anni, su 15 maschi originariamente sbarcati a Pitcairn, soltanto due erano morti per cause naturali.” Fonte: https://www.ilpost.it/2013/06/08/la-storia-del-bounty/

Tornati a casa, Brenda ci propone di visitare Down Rope, una ripida scogliera situata sulla costa meridionale. La discesa dalla cima della scogliera è agghiacciante tanto che noi, a metà discesa decidiamo di rinunciare. Una frattura sarebbe una complicazione seria e ingestibile. Meglio non rischiare. Alla base ci sono, sulle rocce, dei petroglifi polinesiani lasciati dagli antichi abitanti che abbandonarono l’isola.

Brenda ci ha impressionato perché, col machete e a piedi nudi, ci faceva strada, tagliando la vegetazione lungo il ripido precipizio, con estrema naturalezza.

Brenda taglia col machete la vegetazione

Con noi, a supporto della piccola comitiva – siamo in otto – c’è Gavin, il poliziotto governativo dell’isola. Viene dalla Nuova Zelanda e, dopo alcuni mesi di permanenza a Pitcairn, tornerà nel suo paese e sarà sostituito da un collega disponibile a questa esperienza.

Con Gavin, il poliziotto neozelandese

Siamo stanchi e provati, ci vuole una bella birra fresca e buona compagnia per allontanare la stanchezza. Ci dirigiamo al Pub, un locale molto spartano, con un grande e unico tavolo in mezzo alla stanza dove gli avventori trovano posto creando un’atmosfera di condivisione. La prima impressione è di disordine e scarsa pulizia. Le tipiche tovagliette rettangolari da pub, di spugna, disposte intorno al tavolo come segnaposto, sono talmente rigide da sembrare inamidate tanto sono intrise di sporcizia al punto che mi viene da pensare non siano mai state lavate. Sono contro ogni spreco e un uso assiduo di acqua ed energia, in un’isola così piccola e sperduta, sarebbe dissennato. La soluzione? Semplicemente eliminare le tovagliette rinunciando al segno distintivo tipico del pub inglese. Sopra il piccolo banco da bar campeggia uno schermo gigantesco, spento. Pawl, il gestore, è un omone grande e grosso, è un eccentrico personaggio che indossa vistose collane, file di orecchini su entrambe le orecchie, numerosi bracciali. Sul capo ha un cappello pieno di teschi in metallo, teschi che compaiono ovunque nel locale. Ci sono tanti oggetti sulle mensole, molto polverosi. Nell’angolo di una mensola spicca una scatolina trasparente che contiene un pezzo di dito immerso in un liquido. Pawl ci spiega di aver perso la falange distale del pollice della mano sinistra. Con disinvoltura prende in mano la scatolina trasparente e la avvicina al moncone ricostruendo l’immagine del dito. É un tipo originale, sopra le righe, e quel gesto potrebbe sembrare macabro in altri contesti ma non in quel luogo e in quella situazione con quel personaggio. Siamo i primi clienti e, appena ci vede sulla porta, accende il video che trasmette musica anni ’70 – ’80, di buona qualità.

Pawl, il gestore del pub

Ordiniamo due birre – da bere rigorosamente dalla bottiglia… – e ci sediamo al tavolone. Con le birre ci porta un pennarello nero e ci invita a scrivere sul muro o sulle bandiere quello che vogliamo. Accetto subito il simpatico invito e mi avvicino alla parete dove sono affisse varie bandiere. Mancano la bandiera italiana e quella di Pitcairn e con il pennarello scrivo i nostri nomi e la data sulla Union Jack, la bandiera britannica. Avrei voluto narrare la mia esplosione di felicità ma non trovavo le parole e non avevo spazio nè tempo sufficienti.

Le nostre firme e la data al pub di Pawl
Una parete del pub

Arrivano altri avventori che si siedono intorno al tavolo. Tre o quattro locali e un paio di viaggiatori con cui abbiamo condiviso il viaggio sulla nave mercantile. C’è anche Miriana, una simpatica ragazza italiana, arrivata a Pitcairn a febbraio con Lonie, la sua compagna londinese. Dopo un periodo vissuto a Londra hanno deciso di stabilirsi definitivamente sull’isola. Mi stupisce sapere che due giovani ragazze abbiano scelto un luogo non solo lontano da tutto ma anche apparentemente poco attrattivo. Non c’è nulla che possa calamitare delle giovani, vissute nel cuore dell’occidente con ogni tipo di richiamo e stimoli. Qui è la natura che la fa da padrona. Miriana mi ha svelato che è il mistero dell’isolamento ad averla attratta e io ho anche percepito in quella piccola comunità un forte senso di collettività, complicità e condivisione, elementi estranei a un mondo consumistico, logorante e competitivo come quello occidentale. E quel modo di vivere e di interpretare la vita è di gran lunga più ricco di valori e fascino rispetto a un mondo dove è difficile distinguere i bisogni dai desideri e dove imperano confusione, ingannevoli convincimenti e falsi miti. Per vivere da residente e lavorare – facendo lavori utili alla comunità – è necessario avere dei permessi che si ottengono direttamente dall’ufficio del governatore.

Noi con Pawl, al pub
Miriana al pub
Intorno al tavolo del pub
Intorno al tavolo del pub: di spalle Lonie, in piedi Miriana, di fronte Seb e, accanto, Heidi

La giornata è stata intensa, è ora di tornare a casa per la cena. Abbiamo fame e troviamo una bella sorpresa.

A cena, da Brenda e Mike. Di spalle, Mike, a sinistra Andreas, accanto si intravvede Brenda, di fronte Seb

La sorpresa è un piatto di verdure con il frutto dell’albero del pane, l’obiettivo della missione del Bounty. Sono curiosa di assaggiarlo, sono anni che ne sento parlare e non vedo l’ora di vederlo nel piatto. Il gusto è neutro, la consistenza ricorda quella della zucca. Mi piace e so che sarà l’unica volta che lo assaggerò.

Il frutto dell’albero del pane con verdure miste (carote, piselli, cipolle
e mais)

Avrei ancora tanto da narrare ma mi fermo qui per non dilungarmi troppo. Anche raccontare questo meraviglioso viaggio assorbe energia, alimentando nostalgia e ricordi. Tornerò presto.

5. Continua

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