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Viaggio a Pitcairn (sesta parte)

Tempo di lettura: 6 minuti

Il risveglio, con la vista dell’oceano dalla grande finestra basculante, rinnova la sorpresa della bellezza fino alla commozione nonostante quell’immagine mi sia diventata familiare. Mi trasmette energia e mi riconcilia con un mondo che vorrei, non con quello ingiusto che, purtroppo solo per un breve periodo, ho lasciato.

La vista dalla nostra stanza

Dopo la colazione decidiamo di fare un giro da soli. Abbiamo voglia di esplorare l’isola e incontrare la gente del posto per scambiare due chiacchiere e conoscere le loro storie. Sono avida di sapere. É un popolo molto cordiale e disponibile ma chiuso nel suo guscio identitario. Ho avuto la percezione che noi turisti/viaggiatori siamo corpi estranei, non suscitiamo interesse se non quello economico e anche se decidessimo di fermarci per un lungo periodo saremmo sempre altri, mai complici e non entreremmo mai nella loro ristretta cerchia. Penso che, nel momento storico in cui la connettività globale accorcia o annulla le distanze, qui in questo luogo sperduto si delinea un modello di isolamento sociale, un modo di vita quasi arcaico, lontano dal paradigma convenzionale.

Questo limite non è sinonimo di arretratezza; la popolazione dell’isola ha adottato una sorta di difesa e durezza come stile di vita. L’accesso alla televisione e ai telefoni cellulari rimane limitato, non perché non abbiano risorse ma per una scelta di vita concentrata sull’essenziale.

Le relazioni umane rappresentano il punto cruciale della vita quotidiana degli abitanti di Pitcairn. Questa popolazione ha un profondo legame con la terra e l’oceano e per molti la giornata è cadenzata da attività di sostentamento quali l’agricoltura e ahimè, la pesca.

Abbandonati questi pensieri ci incamminiamo verso il Pamai Centre, dove troviamo l’Ufficio postale, il supermercato e il treasury office che rappresenta la cassa comune dell’Isola. Gli acquisti che si fanno al negozio (souvenir, t-shirt, poster, il famoso miele, borse, i rinomatissimi francobolli, magneti, ecc) nonostante siano stati eseguiti/prodotti/acquistati da singoli abitanti, vanno pagati al treasury office che consegnerà l’incasso agli interessati, trattenendo una quota per le spese della comunità. Nel negozio, sulle scatole che contengono la merce da vendere, ci sono i nomi dei venditori in modo da assegnare gli incassi ai destinatari.

Il negozio di souvenir
L’ufficio postale (si nota Seb riflesso nella porta di vetro)
L’interno dell’ufficio postale
La cassetta delle lettere

Incontriamo il medico dell’isola. É australiano e anche lui, come il poliziotto neozelandese e il funzionario governativo britannico, si ferma alcuni mesi fino a che non arriva un collega a dargli il cambio. Deve essere un’esperienza stimolante ed entusiasmante dal punto di vista umano e sociale; non so quanto lo sia dal punto di vista professionale; i 49 abitanti dell’isola per cure importanti si recano in Nuova Zelanda (al ritorno in nave, c’era con noi un pitcairnese diretto in Nuova Zelanda dall’oculista); di conseguenza, il lavoro del medico, immagino si limiti a piccoli interventi, medicazioni, somministrazione di farmaci nonostante l’ambulatorio, modernissimo, sia dotato di una stanza di degenza con due letti e una stanza di rianimazione con un letto. L’équipe medica è costituita, oltre che dal medico, da un’infermiera locale che ha studiato in Nuova Zelanda.

Con il medico
Con Darralyn, l’infermiera, davanti all’ambulatorio
I due letti di degenza del centro medico
Il medico nel suo studio, al centro medico
La sala di rianimazione

Interessante la visita al General store, dove si vende un po’ di tutto, dai piccoli elettrodomestici al cibo in scatola, ai surgelati. Tutto arriva dalla Nuova Zelanda, con la nave mercantile MV Silver Supporter, la stessa con cui siamo giunti a Pitcairn e, considerati i lunghi tempi di consegna, non mi sono stupita di aver trovato cibo scaduto da mesi. Mi sono resa conto, quindi, che la scadenza non è così tassativa e che un alimento si può consumare anche oltre i tempi dichiarati. Da noi sarebbe impensabile trovare sullo scaffale di un supermercato cibo scaduto anche solo il giorno prima e da noi i cibi “in scadenza” (non ancora scaduti ma prossimi alla fine) vengono venduti a prezzo ridotto o tristemente buttati nella spazzatura. A Pitcairn non funziona così e questo evita inutili sprechi. E non danneggia la salute se si tratta di prodotti conservati e non freschi.

D’ora in poi non mi farò più scrupolo a consumare un prodotto scaduto che ho in casa.

L’interno del General store
Notare la scadenza della senape 🙂 – Foto scattata il 20 aprile 2024
Notare la scadenza del tofu 🙂Foto scattata il 20 aprile 2024
Con il sindaco Simon Young

Incontriamo il sindaco che, a dispetto del cognome (Young) mi dice non essere un discendente degli ammutinati del Bounty. Viene dal Regno Unito e anche lui si fermerà per un periodo più o meno lungo. Mi dice che il cognome Young è assai diffuso nel suo paese. Già, i marinai del Bounty, erano inglesi.

Strada facendo incontriamo una signora che, davanti alla sua casa, intreccia foglie di palma creando borse molto belle, vendute al negozio. Anche lei è una discendente di un ammutinato.

La signora che intreccia foglie di palma

L’isola è piccola e i luoghi da visitare sono vicinissimi in linea d’aria ma alcuni sono raggiungibili con molta fatica, per via di sentieri di collegamento assai ripidi. Fa caldo e non abbiamo voglia di affaticarci affrontando salite impervie. Per questo, tornati a casa, accettiamo la proposta di Brenda e Mike di condurci con i loro quad-bike a The Edge, il punto più alto dell’isola.

A The Edge le scogliere si tuffano nell’immenso oceano; è un punto panoramico che regala una vista a 360 gradi dell’isola e della vastità dell’oceano che la circonda. Esprime l’isolamento e la bellezza delle Isole Pitcairn.

Il percorso per arrivare a The Edge si snoda attraverso una vegetazione rigogliosa e antiche strutture vulcaniche. Stare lassù dà un’idea della formazione dell’isola e delle forze naturali che agiscono in questo remotissimo luogo.

Noi con Brenda, sempre scalza, e Mike

Da The Edge vediamo la nostra nave mercantile ancorata al largo. Rimarrà là ad attenderci per riportarci a Mangareva, nella Polinesia Francese.

La MV Silver Supporter, vista dalla cima dell’Isola, The Edge.

Lasciato The Edge, risaliamo sul quad e ci dirigiamo nel luogo dove vive Miss Turpin, detta Miss T, una centenaria tartaruga, portata a Pitcairn dalle Galapagos nella prima metà del secolo scorso. Non posso fare a meno di pensare a quanto l’essere umano si riveli sempre nella sua sopraffazione, prepotenza e ingiustizia. Perché spostare dal sua habitat una creatura facendole percorrere migliaia di miglia e ore di navigazione in mezzo al Pacifico che, oltretutto, a dispetto del nome, è sempre impetuoso?

Con Miss T

Miss T è amata e rispettata dagli abitanti di Pitcairn che le portano ogni giorno il suo cibo preferito: anguria e banane.

Risaliamo sul quad verso casa; un’altra giornata è passata. Siamo stanchissimi ma straripanti di emozioni e ricordi incancellabili e questo basta ad annullare ogni disagio.

A presto!

6. Continua


Viaggio a Pitcairn (quinta parte)

Tempo di lettura: 9 minuti

Ci svegliamo presto, io ancora incredula di trovarmi a Pitcairn ma la vista dell’oceano dalla grande finestra della stanza è come un risveglio dal sogno, un ritorno alla realtà. Sì, sono proprio lì.

Il bagno è uno solo per cinque persone ma riusciamo a utilizzarlo per primi senza attese per gli altri che hanno orari diversi.

La colazione è pronta, si sente profumo di caffè e pane tostato. É Mike che si occupa di noi perché Brenda è impegnata al computer. Lei è la poliziotta dell’isola e svolge anche mansioni amministrative. É lei che ci ha timbrato i passaporti.

Brenda mentre timbra i nostri passaporti
Questi timbri racchiudono un desiderio realizzato
I prodotti per la colazione, al centro del tavolo

Gli alimenti per la colazione, tutti vegani come da nostra richiesta, sono al centro del grande tavolo dove siamo seduti. Provengono dalla Nuova Zelanda e uno di questi, il Marmite, l’avevo già provato in occasione di un viaggio a Auckland. Quella crema tra il salato e l’acidulo, allora, la trovai disgustosa e immangiabile ma dopo anni, su quel tavolo, a Pitcairn, forzando il palato, l’ho adorata tanto da ripromettermi, una volta rientrata in Italia, di cercarla non potendone più fare a meno. Il mistero e il sogno hanno agito per me. E ho consolidato l’idea che i gusti vanno istradati se questo serve a scegliere alimenti giusti e puliti e non frutto di sofferenza e crudeltà.

Al tavolo oltre a noi c’è Andreas con cui scambiamo informazioni sui programmi della giornata. Siamo tre buone bocche e Mike si dà un gran daffare per tostare il pane e servire il caffè. Non fa in tempo a portare quattro fette di pane che già sono sparite, spalmate di leccornie varie tra cui il Biscoff che non conoscevo e che, dagli ingredienti, è una golosissima bomba calorica, da non ricomprare. Diamo l’impressione di essere tre naufraghi affamati più che viaggiatori giunti fin laggiù in cerca di emozionanti avventure.

Mi offro di aiutare Mike a sparecchiare e lavare i piatti. Mi piace immergermi nell’atmosfera casalinga.

Il programma della giornata sarà intenso, a stomaco pieno lo affronteremo meglio. Ci dirigiamo a piedi verso la Saint Paul’s pool, una pittoresca piscina naturale soggetta alla marea, incastonata tra le rocce costiere nella parte orientale dell’isola. É l’unico punto di Pitcairn dove si può fare il bagno quando la marea non è violenta. Non ci sono spiagge.

Saint Paul’s pool

La vista è un incanto, il rumore dell’oceano è carezzevole, ammirato dalla terra ferma… Staremmo lì ore a contemplare lo spettacolo ma vogliamo andare al Museo. Ci arriviamo dopo una faticosa camminata. Le distanze sono brevi ma il dislivello è notevole.

Ritratti di John Adams e di Thursday October, figlio di Fletcher Christian

La bibbia del Bounty

Il Museo è molto piccolo. Si tratta di due stanze dove sono raccolti alcuni oggetti del Bounty oltre a documenti che richiamano la storia degli ammutinati. Il reperto più significativo del museo è la bibbia che John Adams, l’ultimo sopravvissuto degli ammutinati, utilizzò per insegnare a leggere e scrivere e, ahimè, indottrinare, le donne e i bambini sopravvissutə ai conflitti tra tahitianə e marinai inglesi. Infatti, la vita degli ammutinati fu caratterizzata negli anni successivi all’insediamento sull’isola, da omicidi e violenze.

Fletcher fu probabilmente uno dei primi ammutinati a morire, ucciso durante una ribellione dei maschi tahitiani. Nella stessa ribellione morirono altri quattro ammutinati, mentre tutti e sei i tahitiani furono uccisi per rappresaglia dagli altri tre ammutinati oppure dalle vedove dei marinai uccisi. I sopravvissuti si presero le mogli dei loro compagni morti. Alla rivolta seguì qualche anno di pace, fino a quando uno degli ammutinati riuscì a distillare una bevanda alcolica dalle piante dell’isola. I sopravvissuti, spesso ubriachi, cominciarono ad essere sempre più violenti, anche nei confronti delle loro mogli, che a loro volta si rivoltarono. Nel frattempo l’isola si popolava di decine di bambini. Gli ammutinati intanto, sempre per questioni di alcol o di donne, continuarono ad uccidersi tra di loro, fino a che rimase vivo soltanto uno di loro, John Adams. A quel punto la popolazione dell’isola contava un uomo, 8 donne e diverse decine di bambini. In pochi anni, su 15 maschi originariamente sbarcati a Pitcairn, soltanto due erano morti per cause naturali.” Fonte: https://www.ilpost.it/2013/06/08/la-storia-del-bounty/

Tornati a casa, Brenda ci propone di visitare Down Rope, una ripida scogliera situata sulla costa meridionale. La discesa dalla cima della scogliera è agghiacciante tanto che noi, a metà discesa decidiamo di rinunciare. Una frattura sarebbe una complicazione seria e ingestibile. Meglio non rischiare. Alla base ci sono, sulle rocce, dei petroglifi polinesiani lasciati dagli antichi abitanti che abbandonarono l’isola.

Brenda ci ha impressionato perché, col machete e a piedi nudi, ci faceva strada, tagliando la vegetazione lungo il ripido precipizio, con estrema naturalezza.

Brenda taglia col machete la vegetazione

Con noi, a supporto della piccola comitiva – siamo in otto – c’è Gavin, il poliziotto governativo dell’isola. Viene dalla Nuova Zelanda e, dopo alcuni mesi di permanenza a Pitcairn, tornerà nel suo paese e sarà sostituito da un collega disponibile a questa esperienza.

Con Gavin, il poliziotto neozelandese

Siamo stanchi e provati, ci vuole una bella birra fresca e buona compagnia per allontanare la stanchezza. Ci dirigiamo al Pub, un locale molto spartano, con un grande e unico tavolo in mezzo alla stanza dove gli avventori trovano posto creando un’atmosfera di condivisione. La prima impressione è di disordine e scarsa pulizia. Le tipiche tovagliette rettangolari da pub, di spugna, disposte intorno al tavolo come segnaposto, sono talmente rigide da sembrare inamidate tanto sono intrise di sporcizia al punto che mi viene da pensare non siano mai state lavate. Sono contro ogni spreco e un uso assiduo di acqua ed energia, in un’isola così piccola e sperduta, sarebbe dissennato. La soluzione? Semplicemente eliminare le tovagliette rinunciando al segno distintivo tipico del pub inglese. Sopra il piccolo banco da bar campeggia uno schermo gigantesco, spento. Pawl, il gestore, è un omone grande e grosso, è un eccentrico personaggio che indossa vistose collane, file di orecchini su entrambe le orecchie, numerosi bracciali. Sul capo ha un cappello pieno di teschi in metallo, teschi che compaiono ovunque nel locale. Ci sono tanti oggetti sulle mensole, molto polverosi. Nell’angolo di una mensola spicca una scatolina trasparente che contiene un pezzo di dito immerso in un liquido. Pawl ci spiega di aver perso la falange distale del pollice della mano sinistra. Con disinvoltura prende in mano la scatolina trasparente e la avvicina al moncone ricostruendo l’immagine del dito. É un tipo originale, sopra le righe, e quel gesto potrebbe sembrare macabro in altri contesti ma non in quel luogo e in quella situazione con quel personaggio. Siamo i primi clienti e, appena ci vede sulla porta, accende il video che trasmette musica anni ’70 – ’80, di buona qualità.

Pawl, il gestore del pub

Ordiniamo due birre – da bere rigorosamente dalla bottiglia… – e ci sediamo al tavolone. Con le birre ci porta un pennarello nero e ci invita a scrivere sul muro o sulle bandiere quello che vogliamo. Accetto subito il simpatico invito e mi avvicino alla parete dove sono affisse varie bandiere. Mancano la bandiera italiana e quella di Pitcairn e con il pennarello scrivo i nostri nomi e la data sulla Union Jack, la bandiera britannica. Avrei voluto narrare la mia esplosione di felicità ma non trovavo le parole e non avevo spazio nè tempo sufficienti.

Le nostre firme e la data al pub di Pawl
Una parete del pub

Arrivano altri avventori che si siedono intorno al tavolo. Tre o quattro locali e un paio di viaggiatori con cui abbiamo condiviso il viaggio sulla nave mercantile. C’è anche Miriana, una simpatica ragazza italiana, arrivata a Pitcairn a febbraio con Lonie, la sua compagna londinese. Dopo un periodo vissuto a Londra hanno deciso di stabilirsi definitivamente sull’isola. Mi stupisce sapere che due giovani ragazze abbiano scelto un luogo non solo lontano da tutto ma anche apparentemente poco attrattivo. Non c’è nulla che possa calamitare delle giovani, vissute nel cuore dell’occidente con ogni tipo di richiamo e stimoli. Qui è la natura che la fa da padrona. Miriana mi ha svelato che è il mistero dell’isolamento ad averla attratta e io ho anche percepito in quella piccola comunità un forte senso di collettività, complicità e condivisione, elementi estranei a un mondo consumistico, logorante e competitivo come quello occidentale. E quel modo di vivere e di interpretare la vita è di gran lunga più ricco di valori e fascino rispetto a un mondo dove è difficile distinguere i bisogni dai desideri e dove imperano confusione, ingannevoli convincimenti e falsi miti. Per vivere da residente e lavorare – facendo lavori utili alla comunità – è necessario avere dei permessi che si ottengono direttamente dall’ufficio del governatore.

Noi con Pawl, al pub
Miriana al pub
Intorno al tavolo del pub
Intorno al tavolo del pub: di spalle Lonie, in piedi Miriana, di fronte Seb e, accanto, Heidi

La giornata è stata intensa, è ora di tornare a casa per la cena. Abbiamo fame e troviamo una bella sorpresa.

A cena, da Brenda e Mike. Di spalle, Mike, a sinistra Andreas, accanto si intravvede Brenda, di fronte Seb

La sorpresa è un piatto di verdure con il frutto dell’albero del pane, l’obiettivo della missione del Bounty. Sono curiosa di assaggiarlo, sono anni che ne sento parlare e non vedo l’ora di vederlo nel piatto. Il gusto è neutro, la consistenza ricorda quella della zucca. Mi piace e so che sarà l’unica volta che lo assaggerò.

Il frutto dell’albero del pane con verdure miste (carote, piselli, cipolle
e mais)

Avrei ancora tanto da narrare ma mi fermo qui per non dilungarmi troppo. Anche raccontare questo meraviglioso viaggio assorbe energia, alimentando nostalgia e ricordi. Tornerò presto.

5. Continua


Viaggio a Pitcairn (quarta parte)

Tempo di lettura: 6 minuti

Siamo sfiniti dopo un viaggio in aereo prima e in nave poi, con tutto ciò che comporta in attese, controlli, code, caldo, passeggeri maleducati, ma l’eccitazione e una bella doccia rinfrescante azzerano i disagi vissuti e, vispi e curiosi, partiamo subito alla scoperta dell’isola, a piedi. Il momento in cui sogno e realtà si intrecciano e si sovrappongono è giunto.

Ci dirigiamo verso Adamstown, la capitale di Pitcairn, la meno popolosa del mondo, unico insediamento abitato di tutto l’arcipelago formato anche dalle Isole Ducie, Henderson e Oeno. Il centro abitato sorge sul versante della Collina della Difficoltà (Hill of Difficulty), sopra la Bounty Bay. Chiamarla capitale è fuorviante. Si tratta di un villaggio di casette sparse lungo la collina. Durante il percorso la Natura si manifesta in tutta la sua bellezza e imponenza. Alberi da frutto come banane, papaia, pandano, cocco, si alternano a piante e fiori di rara bellezza, dai colori sgargianti, tanto da sembrare finti.

Arriviamo alla piazza, nodo centrale di questa piccola comunità, dove troviamo la chiesa, la public hall che funge anche da tribunale e l’ufficio del governatore che funge da municipio. Al centro troviamo ancora tavoloni e sedie, utilizzati la sera precedente per una festa della comunità (un compleanno se non ricordo male).

In un angolo della piazza mi colpisce una grande sedia in plastica realizzata riciclando la plastica dispersa nell’oceano e raccolta nell’isola di Henderson dove è stata portata dalle correnti.

La gigantesca sedia realizzata con la plastica riciclata
L’etichetta sulla sedia

Sulla piazza troviamo anche l’ancora del Bounty, la tocco e i pensieri volano ripercorrendo tutta la storia del viaggio di 237 anni prima di quel gruppo di 46 marinai inglesi partiti da Spithead nel Devonshire per una singolare missione. Ripenso al film con Marlon Brando, ai libri letti, ai numerosi racconti sul web. Lo sguardo non si stacca dall’ancora e dai pensieri ma c’è ancora tanto da vedere.

L’ancora del Bounty

Lì accanto c’è la chiesa avventista del settimo giorno dove la funzione religiosa del sabato è on line. I fedeli, seduti nei banchi, seguono la funzione da uno schermo dove è collegato il celebrante. Il collegamento non è interattivo, nel senso che i fedeli vedono e ascoltano il celebrante ma questi non interagisce con la platea, diciamo. É come assistere alla riproduzione di un evento da uno schermo. Trovo la cosa assai singolare. La chiesetta, il giorno della funzione, accoglie gli abitanti di Pitcairn e, anche chi non è animato da spirito religioso, partecipa per sentirsi parte della comunità. Qui il senso di comunità, i sentimenti di condivisione e appartenenza sono molto forti e solidi. Durante la funzione tutti partecipano al coro, pregano, si raccolgono devotamente. C’è anche chi è in chiesa solo per sentirsi parte della comunità, non per interesse al rituale religioso, perché prevale fortemente il bisogno di alimentare e rafforzare il sentimento di appartenenza.

Seb sulla porta della chiesa
Durante la funzione del sabato

Torniamo a casa per il pranzo, vegano per tutti i commensali. Siamo in cinque. Ci fa piacere che anche gli altri si siano adeguati alla nostra filosofia di vita senza farci sentire “diversi”. Noi ospiti mangiamo insieme a Brenda e a suo marito intorno a un grande tavolo e questo, se all’inizio crea un certo imbarazzo, alla fine ci dà modo di conversare tra noi creando una bella atmosfera. Mi rendo conto, durante la conversazione, che siamo più noi tre ospiti a porre quesiti sulla loro vita e mai il contrario. Probabilmente non suscitiamo il loro interesse pur venendo da tanto lontano: Andreas dagli Stati Uniti e noi dall’Italia. La conversazione è piacevole e siamo molto curiosi di conoscere le storie dei nostri tre interlocutori. Andreas, ospite come noi, è un grande viaggiatore, una persona molto gradevole e simpatica. Ha girato il mondo, tutte le Isole del Pacifico e anche luoghi sperduti come Tristan de Cuhna, l’isola ancora più remota di Pitcairn.

Brenda ha preparato un’ottima shepherd pie con i legumi che per una sorta di pudore non ho fotografato. Temevo la considerasse un’invadenza. É vero che ci conosciamo solo dalla mattina ma Brenda, pur essendo molto cordiale, disponibile e premurosa non empatizza come mi aspetterei da una che ci ospita a casa sua e che mangia allo stesso tavolo. Anche nei giorni successivi il suo atteggiamento non muta. Ma non me ne faccio un cruccio, non siamo tutti uguali e comunque, come dicevo, è molto gentile. Prevale, evidentemente, la componente anglosassone, freddina, più di quella polinesiana, molto calorosa. Brenda all’età di 20 anni ha lasciato Pitcairn, dove è nata, e ha vissuto 30 anni in Gran Bretagna, dove ha conosciuto suo marito Mike. Quei trenta anni anglosassoni hanno probabilmente influito sul modo di relazionarsi. Venti anni fa non ha resistito al richiamo delle origini ed è tornata sull’isola natia. Quando le ho chiesto come faceva a reinserirsi in un luogo così isolato dopo tre decenni vissuti in Europa mi ha risposto “Here is home”.

Mike, nel pomeriggio, ci invita sul suo quad per esplorare l’isola. Pitcairn è poco più di uno scoglio ma in alcuni punti le strade sono molto ripide ed è faticoso percorrerle a piedi. Anche sul quad dobbiamo stare ben incollati al telaio (non esistono sostegni) per non essere catapultati a terra. Anche Mike, come sua moglie Brenda è molto disinvolto alla guida ma estremamente sicuro e ci divertiamo.

Eccomi sul quad di Mike (solo per la foto…)

Ci porta a vedere il cimitero dove sono sepolti i pitcairnesi e, poco distante, visitiamo un luogo volutamente isolato e “protetto”: si tratta delle tombe di John Adams (l’ultimo sopravvissuto degli ammutinati), di sua moglie, la tahitiana Teio e di Hannah, la loro figlia.

Cimitero dei pitcairnesi

Le tombe di John Adams, Teio e Hannah

Particolare della tomba di John Adams

Siamo stanchi e provati. Eravamo sbarcati dalla nave mercantile solo poche ore prima. Ma ci è impossibile andare a letto senza aver perso lo sguardo nel cielo infinito dei Mari del Sud. A Pitcairn è completamente assente l’inquinamento luminoso e il cielo è un’immensità di stelle tanto che la zona è nominata International Dark Sky Sanctuary. Per approfondimenti questo è il link: https://www.visitpitcairn.pn/international-dark-sky-sanctuary

Ammirata la Croce del Sud che ci rapisce lo sguardo e i pensieri, andiamo a letto. Nell’emisfero Australe fa buio molto presto ed è piacevole abbandonarsi ai ritmi della natura.

4. Continua


Viaggio a Pitcairn (terza parte)

Tempo di lettura: 5 minuti

Se penso a Pitcairn, a quel puntino nell’immensità dei Mari del Sud, lontano da tutto, rifugio degli ammutinati del Bounty, mi lascio ancora calamitare dal mistero tremendum (terribile) e fascinans (affascinante) che emana, da quella seduzione inquietante di ribellione e isolamento.

Mistero tremendo per la sua storia amara di colonizzazione di due secoli fa, per il rapimento delle donne thaitiane da parte degli ammutinati e per le violenze di cui alcuni uomini si sono macchiati in tempi molto recenti. Per approfondire consiglio di cercare su YouTube digitando “Pitcairn”

Il fascino che trasmette questa piccola isola vulcanica è dovuto alla Natura incontaminata, al clima mite, al panorama mozzafiato, alle coste rocciose a strapiombo sull’oceano che la flagella, alla vegetazione florida e verdeggiante, al vento fortissimo che urla al cielo e alle acque e all’idea che chi abita Pitcarn discende da quei marinai ribelli e porta ancora i loro cognomi (Christian, Young, Quintal, Brown). Fletcher Christian fu l’ufficiale che organizzò l’ammutinamento. E la nostra Host Brenda Christian è una sua discendente. In casa ha una stampa con tutto l’albero genealogico degli ammutinati.

Non riesco a sottrarmi al fascino della storia di questa popolazione di circa 40 persone che si intreccia con quella degli ammutinati creando una comunità unica

La stampa con l’albero genealogico (1799-1985) a casa di Brenda Christian, la nostra host.
Non si legge benissimo ma è per dare un’idea.

La MV Silver Supporter getta l’ancora al largo, all’alba. La barca degli isolani è già sotto la nave che ci attende per portarci sull’Isola. C’è Brenda sulla long boat che subito ci individua. Non è difficile individuarci tra i sette passeggeri della nave mercantile: delle due donne presenti sulla nave ero l’unica straniera, l’altra era Heather, la responsabile dell’Ufficio del Turismo di Pitcairn che rientrava dalla Nuova Zelanda. Heather vive a Pitcairn ma periodicamente si reca a Auckland dove c’è la sede dell’Ufficio del Turismo. Brenda ci aiuta a scendere dalla scaletta di corda della nave e a salire sulla barca dove ci sono anche gli altri host che ospiteranno noi turisti o, meglio, noi folli avventurieri .

Immagine dal web

La long boat, con noi sette passeggeri a bordo, si dirige verso la Bounty Bay, dove scendiamo. L’equipaggio resta a bordo della nave ad attenderci per i quattro giorni della nostra permanenza sull’isola.

Sulla Long boat verso Pitcairn
Per anni ho sognato questa immagine

Alberi di papaia

Quel piccolo attracco, guardato sul web e sognato per anni ora è lì, in tutta la sua forza, lo vedo. Sono emozionata. Ho sognato di vedere dal vivo quel cartello affisso sopra il rimessaggio delle due barche, cartello che ossessivamente andavo a cercare in rete. “Welcome to Bounty Bay – PITCAIRN ISLAND – Home of the descendants of the Bounty mutineers” Sul cartello si notano tre bandiere, di cui una (quella europea) per via della Brexit, non avrebbe più motivo di esserci ma qui la vita è lenta e col tempo il cartello, probabilmente, sarà modificato.

Brenda, una minuta signora perennemente scalza, e suo marito Mike che ci attendeva all’attracco (Landing Point), ci invitano a seguirli. Siamo in tre ospiti a casa loro: noi due e Andreas, un simpatico signore tedesco che vive da 40 anni in California, a San Francisco, dove lavora come psichiatra e con cui instauriamo da subito una relazione amichevole e cordiale anche perché, dicendogli che siamo vegani, lui con sorriso di approvazione ci dice di essere vegetariano. Ancora uno sforzo, dai, Andreas!!

Seb e io saliamo sul quad di Brenda mentre Andreas sale sul quad di Mike e ci avviamo verso la loro casa, dove alloggeremo.

Seb sul quad di Brenda

Io sul quad di Brenda

Il percorso dalla Bounty Bay alla casa di Brenda e Mike è ripido e la strada è sterrata, solo a tratti è cementata. Brenda guida con sicurezza – non so come faccia senza scarpe – e si destreggia con disinvoltura, nonostante la strada sia stretta. Troviamo bizzarro che nonostante le strade siano poco più che sentieri sterrati e prive di traffico, viaggino sulla sinistra. Ma sono sudditi di Re Carlo III…

Una strada di Pitcairn

La casa, che ci aveva già colpito guardandola sul sito al momento della prenotazione, ha una vista che toglie il fiato. Là sotto c’è l’Oceano, solenne, immenso, imponente. Qui il link della casa Di Brenda e Mike, dal sito del Turismo di Pitcairn.

Vista dalla casa di Brenda e Mike

La nostra stanza, Seb sullo sfondo

Siamo stanchi morti dopo un viaggio in nave di due giorni e mezzo da dimenticare per via della violenza dell’Oceano che provocava sobbalzi improvvisi seguiti da nausea e vomito. La casa di Brenda non è esattamente come un occidentale si aspetterebbe tenendo conto anche della cifra pagata. É spartana, molto vissuta, un po’ trascurata nella pulizia, piena di oggetti impolverati che richiamano l’oceano e la vita sull’isola. Prevalgono delfini in tutte le fogge e tartarughe. Si intuisce che la gestione della casa non è tra le priorità di Brenda e Mike. Anzi, direi che non è proprio presente nei loro pensieri. La nostra stanza è spartana ma il letto è comodo. Il bagno è unico, sia per noi turisti sia per Brenda e Mike, i nostri host. É grande, dalle piastrelle azzurre, ha una doccia con un bel getto, comoda e aperta cioè non schermata da tende o box di vetro. Sulla pulizia e l’igiene preferisco sorvolare…

Tutte le tariffe pagate sono fuori mercato (la nave, il soggiorno, le tasse di soggiorno, l’obbligo dell’assicurazione sanitaria) ma bisogna considerare che, a parte l’assicurazione sanitaria, tutti gli esborsi da parte dei turisti confluiscono in una cassa comune (treasure office) a vantaggio di tutta la comunità. Non dimentichiamo, però, che il monarca britannico (la tetta di Pitcairn) versa ogni anno 5 milioni di sterline alla comunità.

3. Continua


Sogno o realtà?

Tempo di lettura: 3 minuti

L’isola Pitcairn (immagine dal web)

Quando, una ventina di anni fa, vidi per la prima volta il film Gli ammutinati del Bounty – film del 1962, con Marlon Brando, regia di Lewis Milestone – rimasi letteralmente affascinata non solo per le vicende avventurose e burrascose (è il caso di dirlo) vissute per molti mesi da un gruppo di marinai della Marina Inglese, per il senso di infinito che evocava una traversata oceanica su un piccolo vascello ma anche per il desiderio fortissimo di raggiungere quell’angolo remoto, quel luogo disabitato, l’isola Pitcairn, una sorta di sfida. A Pitcairn si rifugiarono i rivoltosi per sfuggire alla cattura e all’impiccagione, inevitabile destino riservato agli infedeli e ai disertori.

Il film narrava una vicenda realmente accaduta nella seconda metà del diciottesimo secolo e suscitò in me l’impazienza e l’ardore di approfondire quella storia, i suoi personaggi e i luoghi descritti. Il fascino della trasgressione e dell’inadempienza fu come una febbre che non volevo curare. La mia natura è sempre stata incompatibile e resistente all’autoritarismo e anche all’autorità quando non ne condivido i principi, le modalità e gli obiettivi ancorchè riconosciuti dallo status quo. E lo dimostra la mia carriera professionale che, nonostante i titoli, lo studio, l’impegno e la serietà spesi, è sempre rimasta ferma al palo fino alla decisione, per alcuni scellerata ma non per me, di rassegnare le dimissioni e realizzare altro.

Che cosa mi attraeva tanto di quel luogo e di quella storia? In fondo avevo visitato più volte luoghi bellissimi e lontanissimi nel mondo, dalle culture affascinanti, diverse dalla nostra, ricche di storia e di misteri. Quella vicenda aveva qualcosa in più perché coniugava l’inaccessibilità del luogo e la ribellione all’autoritarismo, al potere dispotico, all’intolleranza, alla tirannide, l’anelito alla libertà. Da allora, quell’ostinato desiderio, ormai saldato nelle retrovie dell’anima, vacillava solo quando, cercando di concretizzare l’organizzazione del viaggio, mi rendevo conto che oggettive difficoltà ne ostacolavano la realizzazione. Difficoltà logistiche, economiche, burocratiche, sanitarie in un’incessante altalena di euforia e delusioni. Per me viaggiare è una filosofia di vita, non è solo mero svago o un temporaneo affrancarsi dalla routine. Viaggiare travolge i pensieri, li accumula e li dipana, li dissolve e ne rincorre altri in un continuo eterno ritorno. Viaggiare è incontrare, scambiare, confrontarsi, liberarsi. Viaggiare aguzza la creatività o la risveglia se è assopita. Viaggiare non è uno stile di vita o di consumo ma assume un potere rivoluzionario. Il mio viaggio a Pitcairn – tra i luoghi più remoti e con meno abitanti al mondo, solo 49 persone – che finalmente sono riuscita a realizzare con mio marito Seb per l’anno prossimo, sarà spartano. Ciò non significa che sarà raffazzonato, impreciso, pressapochista ma essenziale, basico, sobrio. E sarà ricco di incontri.

Oggi l’isola Pitcairn è un po’ più accessibile anche se è fuori dalle rotte turistiche e ancora oggi non dispone né di attracco per le imbarcazioni né di aeroporto. È sempre un’impresa colossale ma meno difficile da realizzare. Ci arriveremo con una nave cargo… Non vedo l’ora di raggiungere quella piccolissima isola abitata dai discendenti degli ammutinati e delle donne tahitiane che li seguiro o, meglio, che furono rapite e costrette a seguirli. Questo è uno dei lati oscuri della vicenda. E non vedo l’ora di conoscere Brenda e Mike, che ci ospiteranno nella loro casa per alcuni giorni.

La storia dell’ammutinamento del Bounty qui o qui.

Immagine dal web

Ascoltando Across the Universe dei Beatles